Un prato e non l’asfalto

Stra (Ve), 1 marzo 2018
Un prato, dove correre. Solo un prato. QUI

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Sui leoni e sui resti di un bracconiere.

Kruger National Park in Sud Africa, marzo 2018

Vicino al parco, in un campo giochi, hanno trovato pochi resti di un corpo umano, sicuramente di un bracconiere dato che lì vicino c’era anche un fucile da caccia (carico) e delle munizioni. I leoni se lo sono mangiato quasi per intero e di loro, dopo, nessuna traccia.

Il bracconaggio è in aumento in queste zone così come lo sfruttamento dei leoni, allevati fin da cuccioli, e in ogni fase ella loro vita, esclusivamente per produrre reddito.

Articolo

(Fonte:www.bbc.com )

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Tre zebre scappano da un parco divertimenti.

Chandler, Arizona, 7 febbraio 2018

Erano riuscite a liberarsi all’alba e a fuggire dal recinto che le imprigionava, all’interno del Chandler Ostrich Festival. Due di loro sono state catturate, una è stata investita.

Poche ore di libertà, di speranza, di desideri, sepolte dalle risate indifferenti e chiassose dei visitatori.

(Fonte:www.ktar.com)

Zebra escapes Chandler Ostrich Festival grounds, hit by car and killed

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Attenzione: animali ribelli

Secondo  uno studio pubblicato da Wilderness and Environmental Medicine, gli animali che più si ribellano e diventano maggiormente  pericolosi per quelli umani risultano essere le mucche e i cavalli. Poi zanzare, vespe, calabroni, api e cani. All’ultimo posto squali e calabroni.

Invertendo la prospettiva, per tutti gli animali, quello più pericoloso, seppur con molti distinguo, risulta essere sempre l’animale umano.

Orsi, serpenti o squali? Macchè: gli animali “killer” per l’uomo, negli Usa, sono vacche e cavalli

(Fonte:www.http://guidominciotti.blog.ilsole24ore.com)

 

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Iraq: orso evade da un negozio

Bassora, Iraq, 2 febbraio 2018

Cacciati e venduti, anche i corpi degli orsi svaniscono fra le bombe e gli spari dei bracconieri. Restano le loro pelli e la loro bile.

In questo VIDEO  la fuga di un orso che viene riportato dove è tenuto prigioniero. (nationalgeographic.it)

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Horton e Henry, storia di un legame profondo.

Rifugio Gentle Barn, U.S., dicembre 2017

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Horton e Henry avevano solo pochi mesi  quando sono stati soccorsi. Affamati e terrorizzati, i due fratelli erano cresciuti in una fattoria di maiali – ed erano rimasti senza cibo così a lungo da diventare pelle e ossa.  Erano coperti di zecche, crivellati di parassiti e anemici per la mancanza di cure. Avevano paura anche delle persone.

Sono stati salvati nell’estate 2015, ma ci è voluto un bel po’ di tempo prima che riacquistassero sicurezza e fiducia. Solo col tempo, Henry e Horton hanno iniziato lentamente a permettere a qualcuno di avvicinarsi un po ‘a loro,  purché avessero un sacco di snack in mano.

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Orazio, un cavallo tra i lupi

Abruzzo, 24 febbraio 2018

Ancora una volta, la realtà ha molte più  sfaccettature di quelle che amiamo raccontarci, specie se non abbiamo vissuto quello di cui stiamo parlando e vogliamo dividere il mondo in dicotomie perfette, tra cui prede e predatori.

In realtà la comunicazione tra gli animali è ben più ricca, varia e articolata, benché forzatamente svilita da una visione (come nell’articolo e nei commenti del video) che vuol ricondurre la complessità delle relazioni a questioni di dominanza, alla monotonia di una lettura parziale – ma sarebbe meglio dire “di parte” – tanto cara e utile anche negli ambienti naturalistici.

Nel video ci sono immagini importanti che scardinano radicati preconcetti. Anche perché, la maggior parte del tempo gli animali  lo dedicano a fare altro, hanno tempi aperti (arbitrariamente non ripresi, salvo rare eccezioni) durante i quali “mescolano le  carte”.

Video/ articolo

(Fonte: www.ilsecoloxix.it)

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In fuga per 40 ore

Trissino (VI), febbraio 2018

Un toro di dieci mesi è evaso dalla stalla. La lunga caccia per riprenderlo si è conclusa con un dardo di sedativo.

QUI la notizia (www.reteveneta.it)

 

 

 

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Tutto il dolore del mondo

Un racconto di Michele Mari, da “EURIDICE AVEVA UN CANE”,  ed. Einaudi

TUTTO IL DOLORE DEL MONDO

Mi stavo allontanando dalla vetrina quando fui colpito da queste parole:
«Va’ Nino, l’è adree a morì: ‘ntremm a dighel».
«’ste curet ti? Andemm, andemm, che l’è tard».
«Ma poer pess…».
Un cappottino nocciola per lei, un lustro giaccone nero per lui: avevano guardato gli animali insieme a me, e ora si dileguavano nella sera. Osservando meglio, vidi ciò che aveva attirato la loro attenzione: un minuscolo pesciolino nero, rimasto impigliato fra il cristallo dell’aquario e una similalga di plastica. L’infelice doveva patire così da molto tempo, perché i suoi sforzi per liberarsi erano deboli e radi: poco più di uno spasmo. Orrore d’aquario, ove l’umana empietà aveva voluto un forzierino semisepolto e (a ballargli avido intorno) un sommozzatore di gomma, trascurando l’ossigenazione e il lindore dovuti.
Sarà stata la sua muta impotenza, la sua invisibile disperazione così in contrasto con la crassità filistea del Natale, ma io in quel pesce vidi compendiarsi tutto il dolore del mondo.

Altre facce si fermarono alla vetrina, attirate dai cagnolini e da un grosso pappagallo verde; se ne andarono, altre facce vennero, se ne andarono anch’esse; «Poer pess» aveva detto quella donna, ma lui l’aveva portata via. Prima che capissi cosa dovevo fare passò altro tempo, poi entrai nel negozio.
«Guardi che nell’aquario c’è un pesce impigliato».
«Eh?»
«E’ rimasto impigliato fra il vetro e un’alga». (Pronunciai l’ultima parola con l’intonazione più concessiva che potei).
«E allora?»
«Soffre».
Mi guardò come si guarda un seccatore, poi continuò a scartabellare in un suo registro. Neanche un cenno, un grugnito che assomigliasse a un ringraziamento, nulla che tradisse un velo di sollecitudine per la creatura. Alla cassa, impassibile, una giovine druda si rintuzzava le pipite: e masticava. Volli credere che avessero litigato aspramente, che io avessi interrotto un lor dramma: e uscii sospendendo il giudizio, studiatamente ignorando lo sdegno che perentro montava.

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Leonessa “da riserva” attacca e uccide turista “da safari”

Dinokeng Nature Reserve, Sudafrica, 27  febbraio 2018.

Articolo

Fonte:www.repubblica.it

 

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