Due colpi di fucile prima del macello

Ripubblichiamo questo articolo dal sito del gruppo Animalisti Friuli-Venezia Giulia, sulla vicenda della mucca uccisa a fucilate in provincia di Pordenone

Due colpi di fucile prima del macello

In molti, appresa la tragica notizia della mucca uccisa a fucilate ad Azzano Decimo (PN), si saranno certamente chiesti se non vi fossero altri mezzi- non cruenti- per recuperare l’animale.
La risposta, dolorosamente semplice e che rispecchia in tutta la sua drammaticità l’agghiacciante visione riservata dalla nostra società agli animali da reddito, è riassunta tutta nel passaggio riportato dagli organi di stampa : “(…) ma sopratutto fra qualche mese sarebbe stata destinata al macello”.

“Ceci n’est pas un steak” Artist: Stéphanie Valentin

La morte era il suo inevitabile destino, un destino- segnato nell’esatto momento in cui era nata- che accompagna quotidianamente miliardi di vite ridotte a mere unità produttive, piegate nella dignità e nelle emozioni senza che vi sia, da parte del sentire comune, la più pallida ombra di rimorso.

Non ci sarà dato sapere cosa lei abbia pensato nell’istante in cui è fuggita dalla stalla in cui era imprigionata, né potremo mai avere l’esatta misura dello smarrimento e del terrore del suo trovarsi braccata in un ambiente sconosciuto e indecifrabile.
Di tutto questo, e molto altro ancora, importa ben poco ai consumatori e nulla agli allevatori, ed è sempre sconcertante dover prendere atto di quanto dolore gli animali debbano sopportare in silenzio e con un’assoluta mancanza di comprensione da parte nostra.
L’invisibilità a cui li destiniamo, restando impermeabili al loro dolore, è occasionalmente interrotta da fatti di cronaca come questo, presto gettati nel dimenticatoio perché tutto torni a scorrere come prima.
La mucca di Azzano Decimo, dopo i due spari di fucile che la finiscono, cessa di fare notizia (così come non fa notizia né desta sgomento la sua macellazione) e torna ad essere un numero, un capo di bestiame cui mai sarà riconosciuto lo status di individuo, il prodotto finale di un ingranaggio meschino che lavora a ciclo continuo- in un perpetuarsi di nascita e di morte- per soddisfare i nostri capricci.

E’ difficile dare un senso a una vicenda come questa; vogliamo credere, immaginandoci per un istante nei panni di quella mucca, che ella abbia scelto di vivere poche ore sotto un cielo che le era stato negato e di terminare la sua corsa in un campo, piuttosto che fra le pareti di un mattatoio, fiutando l’odore della morte.
I suoi pochi attimi di libertà, pagati a caro prezzo, sono lì a ricordarci che ogni animale cerca e cercherà sempre di sottrarsi alla propria prigionia; possiamo provare a piegarlo al nostro volere, convincerci egli sia inconsapevole della propria condizione di schiavo o poco interessato alla sorte che lo attende, possiamo disporre del suo corpo e della sua libertà, ma non illudiamoci che tutto questo possa bastare a cancellare i suoi sogni, le sue emozioni e la sua tensione verso la vita.

“Sono stato a una fiera agricola annuale alle porte di Auckland, in Nuova Zelanda. Vi si tengono competizioni per la giovenca, il toro e la mucca da latte migliori, e credevo che parlando con le persone che allevano questi animali avrei potuto verificare alcune delle mie idee sulla loro vita emotiva. Ho parlato con diverse donne che lavorano con questi animali. Ho domandato: “Che cosa vedete quando li guardate?”, sperando in qualche percezione delle loro emozioni. “Vedo della buona carne rossa” mi ha risposto una di loro, e la sorella concordava. 
“Che cosa pensate dei loro sentimenti?” – “Non ne hanno” hanno risposto all’unanimità, e a questo punto altri presenti hanno espresso il loro parere, perlopiù in accordo con il loro. 
“Sono sempre impassibili” mi ha detto una donna. 
“Sono sempre uguali, non provano niente.” 
In quel momento, abbiamo sentito dei muggiti. Ho chiesto perché le mucche facessero tanto baccano. “Oh, non è niente” mi ha rassicurato la donna. “Sono solo le mucche che rispondono ai vitelli.” 
Che cosa intendeva dire con “rispondono”?
“Be’, i vitelli separati sono spaventati e chiamano la madre, le madri si preoccupano per i piccoli e rispondono, forse cercano di tranquillizzarli.” Queste parole provenivano dalla stessa bocca che aveva appena detto che quegli animali non provano niente: né paura, né dolore alla separazione, né bisogno di confronto, né amore per i loro piccoli, né mancanza della madre. 
Sono giunto ad alcune conclusioni di carattere psicologico e filosofico. Spesso chi ama gli animali è accusato di cedere alle aberrazioni logiche del sentimentalismo e dell’antropomorfismo. Ma in quel momento mi sembrava che quelle persone facessero un altro errore, noto tra gli psicologi come “tendenza alla conferma”. Si tratta della predisposizione a considerare solo la prova che conferma una propria convinzione, ignorando e scartando la prova che invece la smentisce. 
Questa gente si convince che gli animali non provano nulla contro ogni evidenza, persino quando ce l’hanno davanti agli occhi.
Jeffrey Moussaieff Masson 
“Il maiale che cantava alla luna – la vita emotiva degli animali da fattoria”

Video su Queenie:

http://youtu.be/snQRaFP_tdk

 

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