Un articolo di Repubblica.it la chiama “invasione”. Si tratta dei parrocchetti, pappagalli tropicali fuggiti dalle gabbie dei privati e riprodottisi in varie regioni italiane.
Alcune associazioni ecologiste hanno mobilitato i cittadini per censirne la presenza, partendo dal presupposto che esistano specie “aliene”/alloctone e specie autoctone. Queste ultime, in una logica perfettamente xenofoba, sono quelle titolate a risiedere sul “nostro” territorio, a godere di qualche tutela; le prime, invece, sono gli intrusi da espellere, sono dannose, invasive, senza alcun diritto. In particolare, sostengono queste associazioni, disturbano con i loro vocalizzi, danneggiano gli orti, indeboliscono gli alberi con i loro nidi e – udite udite – utilizzano i rametti delle piante ornamentali per farsi la casa (nella foto sopra: un pericolosissimo nido di parrocchetto)
Con questi appelli dal sapore razzista, si mobilita la sorveglianza dal basso, l’impulso al controllo poliziesco che si cela in tante persone, per poi studiare piani di sterminio. La faccia positiva della medaglia è che, per contrastarne la diffusione, in alcuni paesi si è pensato di vietarne l’importazione e la detenzione.