Palermo, 14 maggio 2019.
Video: Un gruppo di gabbiani fa il nido su un balcone e impedisce alla proprietaria di avvicinarsi.
“La parola convivenza, spesso riferita alle coppie che scelgono di vivere sotto lo stesso tetto, è in realtà l’atto di trascorre la vita insieme agli altri. In senso più allargato, essendo la terra abitata da un gran numero di individui, chiunque, inevitabilmente, si trova a confrontarsi con la convivenza, con le regole della convivenza.
In linea generale, queste regole si basano su un patto sociale fondato sul rispetto reciproco.
Il rispetto è una base fondamentale se si desidera approfondire il concetto di convivenza. Rispettare un individuo, infatti, significa riconoscere la sua specificità, il suo essere integro e libero.
Il problema essenziale del nostro rapporto con gli animali sta proprio nell’assenza di questo patto di convivenza, nell’assenza di un riconoscimento dell’animale, di qualunque animale, come soggetto di una vita, come individuo autonomo con delle caratteristiche specifiche, con dei bisogni, con delle aspirazioni che non possono essere ignorate e calpestate .
Mentre tra esseri umani questo patto, pur avendo diverse sfumature in base alle differenti culture, è ben chiaro e riconosciuto, per quanto riguarda gli animali è demandato alla buona volontà di ogni umano che sceglie il modello di comportamento che preferisce.
In generale, però, chi tenta di convivere con gli animali rispettandoli come soggetti autonomi e liberi, viene considerato deviante perché questo comportamento prevede di mettere in discussione la regola fondante su cui si basa la società umana. Ovvero il dominio e la supremazia dei nostri interessi su quelli di tutti gli altri.
SCREDITARE PER DOMINARE
E’ evidente che il concetto di convivenza si sviluppa proprio per regolare le difficoltà che vengono a crearsi con l’incontro di diversi individui che esternano la loro personalità, il loro modo di vivere, la loro cultura, le loro attività, le loro necessità e, così facendo, inevitabilmente finiscono per ostacolare o infastidire quelle degli altri.
Quando le attività di un animale, che sia un piccolo ragno dentro un appartamento come un orso nei boschi, quando il suo semplice stare al mondo si incrocia con il nostro diventa subito nocivo, pericoloso sporco, inutile, fastidioso, spaventoso. In effetti è sufficiente la loro presenza per generare un problema. Topi, piccioni, nutrie, volpi, lupi, cani liberi, cinghiali, formiche, vespe… Nella maggior parte dei casi, i provvedimenti, i consigli, le strategie di convivenza (sia autonome che collettive) sono strettamente connesse all’eliminazione del problema, al drastico allontanamento degli animali con metodi violenti, alla loro uccisione. Provvedimenti che prendono il nome di disinfestazione, derattizzazione, lotta antiparassitaria, cattura, abbattimento selettivo ecc… Quando è necessario si attua, prima di agire, una forma di pesante discredito dell’animale stesso volto a sottolineare la sua bruttezza, la sua sporcizia, la sua inutilità, la sua pericolosità e poi si passa all’eliminazione fisica. Un esempio è quello dei topi e delle nutrie che, nell’immaginario collettivo, si sono trasformate in animali che generano ribrezzo e che, come ovvia conseguenza, devono essere eliminati per il bene comune.
Le caratteristiche degli animali vengono sempre esagerate ed estremizzate in modo da creare il giusto terreno per rendere i drastici interventi proposti come gli unici possibili, come i più sensati e indispensabili. Tanto che, quasi sempre, per riuscire a smontare questa subdola operazione mediatica e spettacolare, ci si trova a dover mettere in discussione le basi dell’intero assetto sociale fondato su plateali falsità. Tutto questo finisce per inquadrare chi non ci sta nella scomoda posizione dell’outsider, del disadattato, della persona le cui ragioni non devono e non possono essere prese in considerazione.
Occorre sottolineare, poi, che anche nei confronti di animali tollerati, quelli che nel nostro immaginario collettivo occupano una posizione positiva, si passa facilmente alle stragi se i loro atteggiamenti infastidiscono le nostre coltivazioni, le nostre case, i nostri interessi o anche se sono minimamente sospettati di nuocere a quello stesso ambiente e a quella stessa biodiversità che stiamo drasticamente devastando. Ancora oggi, nonostante le numerose e coinvolgenti lotte animaliste, infatti, si ricorre tranquillamente alle stragi di lupi, cinghiali, caprioli, gatti.
In tutti i casi, comunque, è difficile e raro che si interpellino enti, associazioni e gruppi che cercano di elaborare metodi di allontanamento dolce, metodi di convivenza pacifica, metodi e strategie che considerino gli animali come individui degni di rispetto.
Inoltre, anche pensando ad animali normalmente presenti nella nostra esistenza quotidiana, non si può fare a meno di notare che le norme di tolleranza e di rispetto compaiono solo quando questi vengono direttamente controllati dagli umani. Un cane libero, per esempio, perde ogni considerazione. Non essendo più una proprietà, perde ogni forma di tutela e diventa una sorta di latitante, un soggetto pericoloso da catturare al più presto. Anche chi nutre sentimenti benevoli nei suoi confronti, non avendogli accordato lo status di individuo libero con una particolare specificità, tenderà comunque a volerlo rinchiudere “per il suo bene”.
D‘altro canto, i pochi esempi di convivenza con gli animali all’interno delle nostre città e dei nostri paesi sono caratterizzati da gabbie e da pesanti restrizioni della libertà. Ogni parco o giardino condominiale, invece, potrebbe essere un luogo da cui partire con un nuovo patto di convivenza fondato sul rispetto, basterebbe incentivare e favorire la loro presenza con casette, colombaie, nidi artificiali…
E’ importante notare quanto sia oramai quasi impossibile per un animale evitare di scontrarsi con gli insediamenti umani, con gli interessi umani, con le attività umane; evitare cioè di diventare un problema che deve essere controllato, catturato, disinfestato, igienizzato, messo in sicurezza, abbattuto.
Considerando l’intero pianeta una nostra proprietà abbiamo colonizzato la maggior parte del territorio. Oggi anche i boschi devono essere messi in sicurezza e a disposizione dei turisti, degli appassionati di funghi, degli escursionisti. Come ovvia conseguenza gli animali vedono sgretolarsi le loro opportunità di sopravvivenza, possono esprimere sempre meno la loro esistenza in vita.
E’ anche da questa considerazione che dovrebbe nascere la necessità di rivedere la nostra convivenza con loro. La necessità e l’importanza di pensare ad un patto di convivenza che ricominci a considerarli individui liberi con specifiche necessità e bisogni da rispettare.
PROTEZIONISMO O CONVIVENZA?
Molto spesso, però, chi sviluppa una sensibilità nei confronti degli animali tende al protezionismo, a considerali individui che devono essere custoditi, mantenuti, curati, alimentati secondo i nostri standard. Tutto questo, purtroppo, ci allontana da quel patto di convivenza che, invece, prevede il riconoscimento della libertà e del diritto all’autodeterminazione dell’altro.
In fondo, il concetto di convivenza parte da presupposti differenti rispetto al protezionismo.
La convivenza prende in considerazione i bisogni di entrambe le categorie con l’obbiettivo di trovare una possibile e pacifica interazione, sopportazione. La convivenza parte dal rispetto delle diverse esigenze, non dalla necessità di farsi carico dell’altro, del controllarlo, del dirigerlo, del decidere come e in che condizioni debba mangiare, riprodursi, ripararsi, morire.
La convivenza si muove nel tentativo di non danneggiarlo anche quando l’espressione della sua personalità, delle sue necessità possono scontrarsi con le nostre. La convivenza, oltre al rispetto, richiede anche tolleranza, attitudine a risolvere i conflitti in modo pacifico, creatività nel cercare possibili soluzioni non violente che, molto, spesso, sono facilmente a portata di mano. Basta non cedere al riflesso condizionato che spinge a considerarci i dominatori del mondo, i padroni che non possono essere infastiditi dalla presenza di chi osa essere diverso.
Certo, quello con gli animali, non potrà mai essere il classico patto dove i rappresentati di diverse categorie firmano un contratto, ma ovviamente può essere articolato, tanto per cominciare, da gesti unilaterali che prevedono lo sviluppo di nuovi livelli di comunicazione e attenzione.
PICCOLI GESTI DI CONVIVENZA
API
Alcuni anni fa uno sciame di api decise di installarsi proprio sulla finestra di casa nostra. Era sera tardi, eravamo appena tornati da un viaggio e la casa era buia. Non riuscendo ad aprire la finestra, decidemmo di non forzare, ma appena acceso l’interruttore generale la sorpresa ci tolse il fiato. Proprio tra l’imposta esterna e il vetro della finestra, brulicavano circa due metri quadrati di api con tutte le loro cellette, la loro cera, il loro miele. Uno spettacolo straordinario, ma anche abbastanza prepotente e spaventoso.
Consultammo i vigili che ci rimandarono ai pompieri che ci rimandarono agli apicoltori che ci spiegarono come le avrebbero catturate: fumi tossici e molte perdite durante la cattura e il trasferimento. Ragionammo a lungo per arrivare ad una conclusione che, in fondo, conoscevamo sin dal principio. Visto che le finestre della stanza erano due, non sarebbe stato un gran danno lasciarne una a disposizione delle api. Scegliemmo di non fare nulla. Le api vissero sulla nostra finestra per molto tempo. Le vedevamo dal letto e, in breve, divennero una parte importante della nostra quotidianità.
ISTRICI
Quell’anno gli istrici entrarono negli annali del paesello dove abitavamo. Era periodo di patate e non c’era orto o campo che non subisse incursione. Se ne parlava ovunque: in chiesa, all’osteria, all’emporio, in piazza. Se incrociavi qualcuno per strada, prima ancora di salutarlo, dicevi: “e gl’istrici, sono arrivati gl’istrici?”. Sì, sempre al plurale perché di notte entravano nell’orto in tanti, perché mangiavano una patata per ogni pianta sollevando tutta la zolla, vanificando l’intero raccolto.
Quell’anno, dopo tanti anni, decidemmo finalmente di recintare, ma non era semplice perché l’istrice scava e passa sotto la rete. Ma alla fine trovammo il sistema. Ci voleva un metro di rete steso a terra in orizzontale e sotterrato e un altro metro verticale. In questo modo, quando cominciava a scavare, trovava la rete sottoterra e rinunciava.
L’anno passò e gli istrici diminuirono drasticamente. La recinzione, alla fine, funzionò anche se diversi istrici riuscirono a trovare il modo di entrare e a prelevare molte patate. Salvammo comunque una parte del raccolto e riuscimmo a conservare le nostre patate per quasi tutto l’anno. Fu una grande soddisfazione perché, in fondo, quell’orto riuscì a sfamare sia noi che loro.
TOPI
Quando arrivarono i topi in casa non ce la prendemmo più di tanto. Sono solo topi, ci dicevamo, animali come tutti gli altri. Solo dopo la conta dei danni ci rendemmo conto che, in qualche modo, bisognava reagire. Avevano rosicchiato e bucato il serbatoio del decespugliatore, ma anche il fondo dei flaconi dei detersivi il cui contenuto si era rappreso sul pavimento di legno. Stessa sorte aveva subito il tetrapack delle dieci confezioni di latte vegetale, la nostra preziosa scorta… Avevano aperto le confezioni di riso e pasta, alcuni avevano fatto il nido tra le noci faticosamente raccolte e custodite per durare tutto l’anno. Dalle pallettine di cacca sparse ovunque capimmo che erano entrati anche in macchina e che, presto, saremmo rimasti a piedi.
L’idea del veleno la scartammo in partenza, ci sembrava troppo infame, troppo simile alle armi chimiche che qualunque convenzione bellica avrebbe catalogato come crimine contro l’umanità. Optammo per quelle gabbiette con un’esca di cibo all’interno. Quando il topo entra e mangia l’esca la porta si chiude e rimane dentro. Ne prendemmo cinque. Erano piccolissimi, pareva impossibile che degli esserini così piccoli con il cuore che batteva all’impazzata per la paura potessero combinare simili disastri. Li liberammo tutti, uno ad uno, nei pressi di un rudere a qualche chilometro da casa nostra. Lasciammo loro anche le scorte oramai inutilizzabili. Tappammo tutti i buchi e non fecero mai più ritorno.
RONDINI
Quell’anno avremmo trascorso un mese in Toscana, saremmo stati ospiti di Franca, una cara vecchia amica che ci metteva a disposizione la sua grande casa sulle colline. Lei era assente e ci scrisse che potevamo sistemarci in una qualsiasi delle stanze da letto tranne una. L’avremmo riconosciuta subito perché aveva le finestre spalancate e bloccate al muro, non le dovevamo chiudere per nessun motivo perché quella era la stanza delle rondini. Ci spiegò che diversi anni prima le finestre erano rimaste aperte per errore e, al suo arrivo, si era accorta che le rondini avevano nidificato all’interno. Ma non un semplice nido, decine e decine, tutti con i piccoli appollaiati all’interno. C’era un via vai continuo e Franca non ebbe più il coraggio di chiudere l’accesso. Decise, invece, di chiudere la porta e di lasciare quella stanza alle rondini. Tornarono regolarmente ogni anno e lei ne era sempre entusiasta.
Nella stanza delle rondini si poteva entrare ogni tanto, per guardarle, e anche per pulire il pavimento. L’importante, secondo Franca, era muoversi lentamente per non spaventarle e chiudere sempre la porta in modo che non entrassero nel resto della casa.
Fu un mese memorabile. Abitammo insieme alle rondini, le sentivamo svegliarsi la mattina quando uscivano per i loro voli. A volte sedevamo per terra in silenzio nella loro stanza e loro entravano ed uscivano continuamente dalla finestra per nutrire i piccoli. Una convivenza pacifica e poetica.
IL MONUMENTO ALL’OCA LILLY SUI BINARI
A Seviering, in un sobborgo di Vienna, proprio sulle rotaie del tram 39, l’oca Lilly amava sostare senza curarsi dei pericoli, senza calcolare che il tram, in ogni caso, ha sempre la precedenza. Per poter proseguire il percorso, i conducenti, ogni volta, dovevano scendere, prendere in braccio e spostare gentilmente Lilly che, subito dopo, tornava al suo posto. Questa simpatica scena deve essersi ripetuta centinaia e centinaia di volte, fino al punto di caratterizzare fortemente l’immaginario della gente del posto. Fino al punto di correggere la normale assurdità che pretendeva e pretende di schiacciare qualunque ostacolo che si frapponga alle necessità e ai bisogni umani.
L’oca Lilly, in un certo senso, è diventata una cittadina di Seviering e, fino all’agosto del 1970, si è sempre presentata sui “suoi” binari per lasciarsi spostare solo quando ce n’era davvero bisogno, quasi a voler testimoniare che una convivenza umano-animale è pur sempre attuabile, anche nelle condizioni apparentemente impossibili.
La gente del posto ha voluto ricordare l’oca Lilly con un momento che segna in modo poetico la concreta possibilità di avere normali rapporti di rispetto, gentilezza e comprensione anche con chi non è umano. Il monumento, voluto dalla popolazione, riporta una targa in cui si narra dell’oca Lilly, in cui si sottolineano, più che altro, i valori della tranquillità e della quiete del luogo.
Certamente non si poteva pretendere, da parte delle istituzioni, un reale riconoscimento antispecista all’oca Lilly. Forse non si può ancora immaginare un mondo in cui tante oche Lilly, ma anche tante asine, tante pecore, vitelli, piccioni, maiali… possano entrare in modo così leggero nel nostro immaginario, nel nostro modo di “sentire” l’altro da sé, sentirlo come individuo con un corpo, con dei sensi, con dei desideri e delle speranze. Ma il monumento esiste e testimonia una piccola crepa sul muro di quella cinica sicurezza che caratterizza ogni movimento delle nostre metropoli, quel senso terribile di non appartenere più, da tempo, a tutto il resto del mondo animale. Per fortuna, allora, che c’è l’oca Lilly. Speriamo che resista a lungo e che prolifichi! “
Troglodita Tribe.