“A tutti piacciono le storie di fuggitivi, a partire dal “Conte di Monte Cristo”, “Il prigioniero di Zenda”, e molte altre. E c’è indubbiamente qualcosa di intrigante nelle storie di animali in fuga, quando bestie selvatiche in qualche modo riescono a fuoriuscire dalle loro gabbie e ad irrompere negli spazi degli zoo di solito occupati dai soli visitatori”.
Ted Cox, Otto the Gorilla Escaped at Lincoln Park Zoo 35 Years Ago Today, Dnainfo, 27/07/2017
Era il 27 luglio 1982 quando, all’incirca alle nove di mattina, il gorilla chiamato Otto tentò la fuga dal Lincoln Park Zoo.
Vi era stato rinchiuso a metà degli anni Sessanta, rapito dalla sua Africa e portato in dono dal governo del Camerun. Prima di lui stessa sorte era toccata a Bushman, un meraviglioso esemplare alto più di un metro e ottanta per quasi 250 chili di peso. Così bello e così “amato” dagli abitanti di Chicago da restare loro prigioniero anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1951 (un anno prima aveva anche lui tentato la fuga). Il suo corpo venne infatti imbalsamato e rinchiuso in una teca di vetro, ed è tutt’oggi visibile al piano terra del Field Museum of Natural History. A Bushman succedette Sinbad, che Ted Cox, nel suo articolo, descrive come un “vecchiaccio irascibile, soprannominato ai tempi il picchia-mogli”. Quando, nel 1976, venne inaugurata la nuova casa delle scimmie, e tutti i primati vennero qui trasferiti, Sinbad fu lasciato da solo nel vecchio edificio, proprio a causa del suo pessimo temperamento. Qui resterà, in totale solitudine, fino alla sua morte, avvenuta nel 1985.
Ecco Sinbad, ancora bambino, nei primi giorni della sua lunga prigionia, durata ben 37 anni:
Anche Sinbad, come Otto, era stato strappato alla sua famiglia e alla libertà in Camerun, e deportato a Chicago, nel 1948. Per dieci anni condivise la sua prigione con una femmina, Lotus. Ma quando i guardiani notarono il suo comportamento aggressivo, venne privato della sua compagnia. Era il 1958. A lui venne, quindi, inflitta la pena dell’isolamento per 27 anni. Anche lui, come Otto, come Bushman e come innumerevoli altri prigionieri in ogni parte del mondo, tentò invano la fuga. Era il 4 agosto 1964. Riuscì ad evadere dalla sua gabbia approfittando della distrazione di uno dei guardiani, raggiunse la cucina, e da qui cercò di oltrepassare la porta che dava all’esterno, nell’area dello zoo riservata ai visitatori. Ma venne fermato dalla polizia e da un fucile caricato a narcotico.
Ma torniamo ad Otto. Al contrario di Sinbad, a lui fu risparmiata la solitudine. Anzi, venne utilizzato come riprodutture e costretto a mettere al mondo ben undici figli. Fu anche star involontaria di un documentario girato nel 1977 ed intitolato “Otto: il gorilla dello zoo”.
Il documentario racconta del trasferimento di Otto e delle altre decine di primati detenuti allora a Chicago, dalla vecchia “casa” alla nuova costruzione. Da una prigione fatta di piccole gabbie ad una più grande, con il tetto in vetro per lasciare entrare la luce del sole, e da dove vedere di notte le stelle. Pareti di vetro infrangibile anziché sbarre di ferro. Corde e pali metallici ad imitare liane ed alberi che Otto ed i suoi compagni di prigionia non vedranno mai più. Alcuni di loro, quelli nati in cattività, non hanno mai visto.
Nel documentario si parla del valore educativo degli zoo, della loro valenza nel preservare specie animali a rischio di estinzione, della cura per il benessere fisico e psicologico di chi vi è rinchiuso.
Parole che stridono con il clangore metallico delle inferriate sbattute dagli inservienti, con la voce alta ed irata di uno di loro, che in una scena si vede usare il getto dell’idrante per costringere Otto a tornare nella sua gabbia.
E’ da qui, da questa prigione costruita sotto una collina, che Otto evade. Sono le nove di mattina. Approfittando del suo momentaneo trasferimento nel piccolo recinto esterno, chissà come riesce a scalare la parete di vetro alta tre metri che lo divide dal mondo, e a superare la doppia recinzione elettrificata. Sembrò prima dirigersi verso la vecchia costruzione, dove ancora era rinchiuso Sinbad, poi si diresse verso il luogo di detenzione dei leoni. Qui fu raggiunto dal veterinario dello zoo, che gli sparò del sedativo. Imperterrito, Otto continuò a vagare fino ad arrampicarsi sul tetto dell’edificio che ospita il centro di formazione. Oltre, il recinto esterno dello zoo e al di là il mondo, la libertà. Ma qui il tranquillante inizia a fare effetto, ed Otto cade, privo di coscienza, a terra.
Viene prontamente recuperato e riportato nella sua gabbia. Da quel momento, il recinto esterno verrà precluso a tutti i primati detenuti.
Otto morirà per un attacco di cuore nel 1988.
La storia della sua fuga, a trentacinque anni di distanza, continua ad essere un simbolo di ribellione, resistenza e desiderio di libertà. L’allora direttore dello zoo, affermò: “Le fughe di animali sono sempre storie eccezionali, se nulla di grave accade”.
Non è esatto: le fughe di animali sono sempre storie eccezionali, che purtroppo raramente finiscono come vorremmo e come i protagonisti stessi vorrebbero, a causa della evidente disparità di forze. Sono storie che si ripetono spessissimo, a dimostrare in maniera inequivocabile la volontà dei protagonisti, il loro essere individui dotati di coscienza, determinazione, intelligenza. Individui resistenti, che dalle loro prigioni non vogliono che uscire.
Fonti:
http://articles.chicagotribune.com/1985-03-20/news/8501150959_1_sinbad-gorilla-bronx-zoo
https://cdnc.ucr.edu/cgi-bin/cdnc?a=d&d=DS19640804.2.70
http://www.chicagonow.com/chicago-quirk/2012/05/escape-from-lincoln-park-zoo/
http://www.chicagotribune.com/news/nationworld/politics/chi-chicagodays-bushman-story-story.html
https://www.upi.com/Archives/1982/07/27/No-thats-not-the-zookeeper/1744396590400/