Se c’è un modo sicuro per sconfiggere ogni forma di attivismo che si muove per un cambiamento radicale, questo, da sempre, è la negazione della felicità, dell’entusiasmo, del piacere.
Mostrare la Liberazione Animale come una stanca e triste tiritera lanciata da vecchi moralisti noiosi che cercano di convincere il prossimo dall’alto di quelle loro cattedre quasi religiose, è già una stoccata che ci stende.
Che importa se abbiamo ragione?
A chi importa, visto che tanto si deve morire tutt*?
Mostrare quest* attivist* come persone vecchie e lontane che lavorano duramente anche dopo il lavoro, che scappano di fronte al divertimento, che schiacciano ogni forma di caldo immediatismo festoso in nome della loro missione, è il modo migliore per ucciderl* ancor prima che riescano a parlare, figurarsi ad agire!
E se l’attivista si rassegna ad incarnare questa macchietta, se accetta il ruolo pesante di questa vile impostura, si mette da sol* nell’angolo a parlare da sol*, si gonfia e si sgonfia perfettamente funzionale alle esigenze del mercato del dominio universale. Rinuncia in partenza al suo essere animale tra gli animali.
E invece l”attivismo è il frutto del potere desiderante di altri mondi da scoprire, esplorare e condividere, è il graffio che squarcia, il muso che annusa, l’ala che vola, è una forma espressa ed agita della felicità che permette il mutamento partendo dal basso, da molto in basso.
E invece l’attivismo è la calda potenza che ti fa alzare dal letto per cambiare il panorama, è il mistero di calde fusa che aggiungono un paio di dimensioni al vecchio scenario… quello che si ostinano a spacciarti come l’unico possibile: ereditato dal padre, antropocentrico, unigenito figlio della produzione e del consumo.
E invece l’attivismo è l’energia che dura cent’anni solcando gli oceani, l’energia creativa che abbaia e rende viva la vita.
Ben lungi dall’essere il solito noioso altruismo calato dall’alto di una decrepita superiorità buonista, ci coinvolge, ci sconvolge, ci seduce ululando orizzontale verso l’orizzonte infinito. Ben lungi dal farlo solo per loro, solo per gli altri, solo per un senso del dovere condito da responsabile e triste disciplina, lo facciamo assecondando un caotico appagamento spontaneo, un visionario istinto bestiale, una cosmica realizzazione corale di infiniti gorgheggi che ti tira per la giacca e per il cuore in un sol corpo, che si esprime imprimendosi e impressionandoci con sensuali atti insensati di bellezza, con cariche di emozioni forti e contagiose che ti risvegliano dal letargo, in una saltellante danza della sorellanza che appaga e soddisfa aprendo gli orizzonti non immaginati. Non è guerra, gli animali non fanno la guerra, è astronautica esplorazione autonoma dell’Altrove, è seguire odori attraenti lasciando tracce di sé, è dinamica effervescenza delle esperienze che fioriscono tra gli squarci delle zone temporaneamente liberate.
La gioia di esserci contro la rassegnazione del delegare, è attivismo.
Il punto fermo di chi non ci sta contro la logica della conservazione e della protezione di un presente di tradizioni sempre al passato, è attivismo.
L’energia creatrice delle idee, l’incessante potenza della loro realizzazione pratica, è il modo con cui l’attivismo ferma il tempo del lavoro e dell’oppressione, della gerarchia e della sottomissione.
E che altro può essere la felicità se non questo sentirsi vivi e nel pieno della lotta contro chi nega ogni forma di resistenza e di esistenza? E che altro può essere se non lo smascherare il divertimento un tot al chilo che oscura da sempre la felicità? Una felicità che desidera, una felicità che afferma, una felicità che scava, scalcia, scavalca, rompe, morde, evade, una felicità giocata ogni giorno nell’insicurezza, nell’incertezza, nell’impossibile invisibile continuo insorgere a quel morente buon senso che toglie il respiro.
C’è poco da ridere, dice qualcun*.
C’è poco da esser felici, aggiungono ad ogni passo, ad ogni orma di zampa che scappa.
Ma quando lo dici anche tu, sei già arruolat* dall’altra parte.
Troglodita Tribe