Resistenze invisibili, apprendimento all’impotenza e orgoglio cognitivo.
Di Francesco De Giorgio
Ci sono molte resistenze animali che scegliamo di non vedere, ma che esistono e sono anche molto intense, dal punto di vista dell’animale. Molti addestramenti, infatti, provocano stati di resistenza animale che per molti restano invisibili, in quanto siamo abituati a cogliere poco le sfumature, poco i dettagli.
Molti degli abusi a carico degli animali infatti, avvengono in stati di apparente norma. Si vedono spesso cavalli in stato di palese resistenza all’addestramento che, seppur sembrano rispondere esattamente alle richieste dell’umano, nella realtà sono non consenzienti rispetto alla situazione che stanno vivendo.
Molto spesso si tende a criticare il montare un cavallo, spesso a ragion veduta, ma si vedono poche critiche ad approcci equestri da terra, che evidenziano comunque una matrice equestre-circense, dove il cavallo apparentemente libero, esprime forti stati di stress, disagio ed emotiva resistenza animale. Anzi, spesso si confonde il gesto addestrato come espressione libera del cavallo.
Oltre a questo, la deprivazione di un contesto sociale stabile, a cui molti cavalli vengono sottoposti e di cui soffrono nel mondo equestre, anche nelle attività definite ‘da terra e in libertà’ rappresenta una forma di abuso che provoca forti ed evidenti resistenze nei cavalli, che spesso vengono misinterpretate.
Queste forme di resistenza animale non solo non vengono colte da gran parte del mondo equestre, ma anzi in qualche modo vengono cercate e, dove non esistono, create.
Quello che viene definito apprendimento in senso equestre, non ha nulla a che vedere con l’apprendere animale, ma con una forma molto subdola di ‘apprendimento’, l’apprendimento a diventare impotenti, l’apprendimento a far crollare ogni resistenza cognitiva, per una deriva reattivo-apatica dell’animale che, perdendo la voglia di resistere, diventa zombie, quindi un anima-le senza piu’ anima.
Bisogna quindi appropriarsi di un nuovo modo di pensare all’animale, che vada oltre la ricerca del suo arrendersi, che questo avvenga con metodi violenti fisici evidenti o mentali subdoli invisibili; pensando anche a creare adeguate condizioni di vita che, per un cavallo, per quel cavallo, per quel gruppo di cavalli, corrispondono nel vivere in un contesto sociale stabile, all’interno del quale possa avere ed esprimere legami affettivi stabili con altri cavalli, che possa vivere in un contesto ricco in esperienze socio-cognitive, dove la parte umana diventa solo una delle tanti parti del sistema, non quella centrale intorno ai cui desideri, piaceri ed esigenze debba girare tutto.
Per fare questo abbiamo bisogno di rivoluzionare molte cose, partendo da noi stessi, dalle nostre aspettative, approfondendo concetti non ad orientamento equestre ma di vera matrice equina.
Dobbiamo imparare noi stessi, noi umani, a fare resistenza cognitiva verso pressioni sociali, condizionamenti, aspettative che scegliamo di far cadere sulle nostre spalle e sulle spalle del non-umano.
Scrollare cognitivamente le spalle e camminare lungo una strada di cambiamento che ci riporti a noi stessi, insieme agli altri animali, che insieme a noi condividono questo cammino.
Allora, solo allora, potremmo riscoprire il cavallo invisibile, quello che oggi neghiamo, quello che oggi decidiamo di non vedere, restituendogli il suo proprio orgoglio cognitivo.