Dal canile alla libertà – White God – Sinfonia per Hagen
È uscito anche nelle sale dei cinema italiani White God – Sinfonia per Hagen, il nuovo film del regista ungherese Kornél Mundruczó, dopo essersi aggiudicato il premio della sezione Un Certain Regard al festival di Cannes dello scorso anno.
Protagonista una ragazzina, Lili, e il suo cane Hagen. Premessa per la storia, l’approvazione di una nuova legge che favorisce i cani di razza e che prevede il pagamento di una tassa gravosa da parte dei proprietari di meticci.
ll provvedimento spinge molte persone a sbarazzarsi dei cosiddetti bastardi, colpevoli di inquinare la purezza delle razze determinate dall’uomo. Tra questi, anche il padre di Lili che, contro il volere della figlia, abbandona Hagen per strada. La ragazza inizialmente non accetta le argomentazioni del padre e non si dà pace. Ad un certo punto sembra prevalere l’accettazione da parte di Lili della figura del padre, al quale gradatamente si riavvicina dopo la separazione dalla madre.
All’inizio anche Hagen cerca disperatamente di ritornare a casa da Lili.
Vagando per le strade, si ritrova ad affrontare una serie di situazioni pericolose: deve sfuggire ai corrotti accalappiacani, viene venduto da un senza tetto senza scrupoli ad un vile ricettatore di cani che lo rivende a sua volta ad un feroce addestratore di cani per il combattimento. Riuscito a fuggire dopo mirati trattamenti tesi ad indurre in lui aggressività, viene infine catturato e mandato in canile.
Recluso insieme a tutti gli altri ‘senza razza’, rischia la soppressione quando decide di ribellarsi generando l’occasione decisiva per affrancarsi dal ruolo di schiavo.
Scappa con la collaborazione degli altri cani del canile: centinaia di intrepidi galeotti invadono a questo punto Budapest, fra il terrore della gente che assiste sconvolta ad una grande collettiva corsa per la libertà.
Il panico scuote la cittadinanza che legge nella rivolta dei cani una dichiarazione di guerra alla specie ‘padrona’. Invece i conti in sospeso vengono saldati solo con coloro che hanno maltrattato Hagen, i quali diventano vittime-simbolo della non passività degli animali non umani.
«Ho voluto collocare il film in una prospettiva in cui si capisca che il cane è il simbolo dell’eterno emarginato per cui il padrone è il suo dio (da cui il titolo: il dio bianco appunto)», ha detto il regista. Che ha spiegato di aver avuto l’idea di utilizzare i cani per rappresentare le condizioni deI discriminati grazie a ciò che ha appreso in particolare dai libri di Coetzee: «Il suo lavoro richiama l’attenzione sul fatto che c’è uno strato più basso anche di quello dei più emarginati, che consiste in un’altra specie di esseri intelligenti e razionali che possono essere sfruttati in tutti i modi possibili dall’uomo: gli animali. È qui che ho cominciato a chiedermi se fosse possibile girare un film con i cani. Lavorare con loro è stata un’esperienza terapeutica», ha raccontato. «Durante le riprese, si aveva la sensazione che noi dovessimo adeguarci ai cani e non viceversa. Ogni scena doveva essere giocosa e indolore per gli animali. In un certo senso i cani diventavano attori e gli attori cani. Il film è un esempio straordinario della cooperazione eccezionale tra due specie. Un’esperienza edificante anche perché ogni cane presente nel film proveniva dai canili e alla fine delle riprese sono stati tutti adottati e hanno trovato una casa». Un film importante, per l’attenzione ai particolari, per l’evidente ricerca di riprodurre nello spettatore la prospettiva di vita dei cani, per le tante denuncie esplicitate nel mettere sotto lente d’ingrandimento la precarietà dell’esistenza della specie animale eletta a vivere fianco a fianco all’Imperatore.
Il regno dell’uomo ha concepito per il cane una forma di compagnia condizionata e non prevede la resistenza ai propri dettami. La disabitudine ad assistere all’insubordinazione procurata dallo strapotere in corso, getta nello stupore chi si trova di fronte all’imprevista reazione di sudditi a quattro zampe. Significativo che le ambientazioni iniziale e finale avvengano nel mattatoio della città. Lili e il padre finiscono per inchinarsi ai rivoltosi, proprio nel piazzale compreso fra le strutture di smembramento dei corpi animali destinati al consumo alimentare umano.
L’alta ispirazione esistenziale dettata dalle note dell’orchestra in cui Lili suonava, stride con la concitazione emanata nella lotta per la vita nuda, cruda e vera. A rappresentare in che silente contrasto si dibatte l’immane tragedia subita dagli animali: amati per bisogno, usati per interesse, abbandonati per necessità. Un film sul tradimento: un fatto sistematico, tutt’altro che una sfortunata circostanza. Hagen, i cui sentimenti scorrono sulla sottile linea che percorre chi sfiora con coraggio il rischio di una comunicazione antropomorfizzante che sfida le leggi della reificazione animale, non ci sta.
E questo, se non è tutto, è tanto.