zoo del Bronx, New York, marzo 2011
É riuscito ad evadere e l’hanno ricatturato dopo tre giorni.
zoo del Bronx, New York, marzo 2011
É riuscito ad evadere e l’hanno ricatturato dopo tre giorni.
Caserta, aprile 2015
Ennesima evasione di pecore. Decidono da sole la strada da seguire. Anche se la strada è purtroppo quella cittadina, piena di automobili.
Follina (TV), luglio 2015
“Un rodeo in piena regola, perché per catturare le pecore i pastori improvvisati (il sindaco e altri quattro cittadini come rinforzi) hanno dovuto utilizzare un cappio da lanciare al collo dei ‘fuggitivi’. Il gruppo si è fatto qualche risata soltanto alla fine, visto che prima le pecore, spaventatissime, fuggivano sulle “rive” di Follina o in mezzo alla strada… Alla fine tutte sono state catturate, e caricate su un furgoncino messo a disposizione del macello.” (Fonte:tribunatreviso.gelocal.it)
Svizzera, maggio 2015
Il suo piccolo si allontana nel bosco. Lei lo cerca resistendo per due giorni ai tentativi di chi vuole riportarla nell’allevamento.
Qui la notizia (www.gdp.ch)
Resistenze invisibili, apprendimento all’impotenza e orgoglio cognitivo.
Di Francesco De Giorgio

Ci sono molte resistenze animali che scegliamo di non vedere, ma che esistono e sono anche molto intense, dal punto di vista dell’animale. Molti addestramenti, infatti, provocano stati di resistenza animale che per molti restano invisibili, in quanto siamo abituati a cogliere poco le sfumature, poco i dettagli.
Molti degli abusi a carico degli animali infatti, avvengono in stati di apparente norma. Si vedono spesso cavalli in stato di palese resistenza all’addestramento che, seppur sembrano rispondere esattamente alle richieste dell’umano, nella realtà sono non consenzienti rispetto alla situazione che stanno vivendo.
Molto spesso si tende a criticare il montare un cavallo, spesso a ragion veduta, ma si vedono poche critiche ad approcci equestri da terra, che evidenziano comunque una matrice equestre-circense, dove il cavallo apparentemente libero, esprime forti stati di stress, disagio ed emotiva resistenza animale. Anzi, spesso si confonde il gesto addestrato come espressione libera del cavallo.
Oltre a questo, la deprivazione di un contesto sociale stabile, a cui molti cavalli vengono sottoposti e di cui soffrono nel mondo equestre, anche nelle attività definite ‘da terra e in libertà’ rappresenta una forma di abuso che provoca forti ed evidenti resistenze nei cavalli, che spesso vengono misinterpretate.
Queste forme di resistenza animale non solo non vengono colte da gran parte del mondo equestre, ma anzi in qualche modo vengono cercate e, dove non esistono, create.
Quello che viene definito apprendimento in senso equestre, non ha nulla a che vedere con l’apprendere animale, ma con una forma molto subdola di ‘apprendimento’, l’apprendimento a diventare impotenti, l’apprendimento a far crollare ogni resistenza cognitiva, per una deriva reattivo-apatica dell’animale che, perdendo la voglia di resistere, diventa zombie, quindi un anima-le senza piu’ anima.
Bisogna quindi appropriarsi di un nuovo modo di pensare all’animale, che vada oltre la ricerca del suo arrendersi, che questo avvenga con metodi violenti fisici evidenti o mentali subdoli invisibili; pensando anche a creare adeguate condizioni di vita che, per un cavallo, per quel cavallo, per quel gruppo di cavalli, corrispondono nel vivere in un contesto sociale stabile, all’interno del quale possa avere ed esprimere legami affettivi stabili con altri cavalli, che possa vivere in un contesto ricco in esperienze socio-cognitive, dove la parte umana diventa solo una delle tanti parti del sistema, non quella centrale intorno ai cui desideri, piaceri ed esigenze debba girare tutto.
Per fare questo abbiamo bisogno di rivoluzionare molte cose, partendo da noi stessi, dalle nostre aspettative, approfondendo concetti non ad orientamento equestre ma di vera matrice equina.
Dobbiamo imparare noi stessi, noi umani, a fare resistenza cognitiva verso pressioni sociali, condizionamenti, aspettative che scegliamo di far cadere sulle nostre spalle e sulle spalle del non-umano.
Scrollare cognitivamente le spalle e camminare lungo una strada di cambiamento che ci riporti a noi stessi, insieme agli altri animali, che insieme a noi condividono questo cammino.
Allora, solo allora, potremmo riscoprire il cavallo invisibile, quello che oggi neghiamo, quello che oggi decidiamo di non vedere, restituendogli il suo proprio orgoglio cognitivo.
Ha morso me giovedì. Ha rimorso domenica. Ci ha riprovato ancora domenica. Oggi è lunedì e lo vedo stanco. Di battersi. Per cosa? Oliver non lo sa cosa può essere la vita. Tre anni e mezzo. Da quando ha tre mesi a catena. Preso da un maresciallo dei Carabinieri e legato nel retro della caserma. Stessa identica storia di una cagna che ho conosciuto qualcosa come venti anni fa.
Poi il canile. Da poco più di un mese.
Si dice che un canile sia un buon canile se si prende cura dei cani: pappa, vaccinazioni e profilassi varie, carezze e passeggiate tutte le volte che si può.
Si dice poco o nulla di cosa c’è di non buono nel canile, in ogni canile: resclusione, solitudine, frustrazione, minacce che provengono dai propri simili reclusi, energia inespressa che induce possessività e asocialità, mentre gli umani passano indaffarati davanti a te/cane che sei sempre lì, senza distinguere messaggi invitanti negli odori mischiati, senza comprendere le sfumature dei suoni accalcati e moltiplicati. La confusione cresce e il tempo si avvita nell’attesa di capire. Un assembramento di corpi che spingono per disperdersi più in là. Oltre dove non si può andare.
Che succede. Chi sono. Chi sei. Cosa vuoi. Cosa volete. Aprite. Andate via. Sono tutto e niente. Faccio questo e non so più nulla.
Oliver, pastore bianco dai dred incolti lunghi e sporchi di feci attaccate dietro. Se lo toccavi i primi giorni, non sembrava capire che. . .
Qualche settimana dopo, mi ha cercato lui, per poi pentirsi quasi subito del suo slancio emotivo. Una mano aperta piano dal basso verso l’alto in segno di pace, lui che si butta a terra in un attimo fulmineo di presunta felicità perchè la disponibilità la vede, poi su di scatto…a provare a mordere seguendo i suoi sentimenti traditi.
Dei cani ha paura. Evita a testa bassa, e se ne va. Delle persone ha paura, e le tiene a sè nel recinto, quando capisce che si sta andando là, per poi andare via. Ti tiene mettendosi davanti alla porta, fin dall’inizio in cui ti ha costretto ad entrare perchè altrimenti rimaneva a fare avanti indietro nel corridoio.
Oliver mi sembra a volte che parli con le farfalle, provando ad interpretare quel suo sguardo perso che sintetizza e anima colori dsipersi nell’aria rafferma di chi non si può muovere da dov’è. Perchè è così e basta e chissà se ha potuto chiederselo mai.
Ieri il suo nome è finito nel referto dell’ospedale, perchè a quel braccio si è attaccato come un pesce all’amo che fa male ma almeno lo porta via. Ma, senza correre troppo il rischio di mal interpretare, io lo so cosa Oliver sta cercando in tutti i modi di afferrare.
Succede spesso che arrivano in canile cani che hanno subìto tanto e sembrano all’inizio non esistere a sè stessi.
Se li lasci respirare appena un pò, esce l’autonomia. E Oliver brama di poter decidere. Oggi per lui un morso è una decisione e io ora come ora la voglio accettare.
Non dico che sia facile, ma che quell’insicurezza mi tocca dritto al fondo delle motivazioni che mi portano tra le gabbie del canile.
Centinaia di forme diverse di resistenza a cui cercare di connettermi, sapendo di dover passare per quello che in parte sono. Il loro carceriere. Il rappresentante sul campo della specie che li ha fatti soffrire. Colui che prova a dare loro qualcosa che non basta mai, procedendo secondo una precisa e reiterata suddivisione fra quanti sono. Colui che apre la porta per richiuderla, alla fine. E questo è un fatto che se tengo alla loro felicità vorrei che sapessero non cancellare pur nell’affetto che col vivere la giornata insieme si crea.
Oliver non vuole morire e questo è di gran conforto.
Dico sempre una cosa in canile “Un morso è un morso, nessun affronto ricevuto che sia per noi da personalizzare!”. Lo dico per far scendere il timore dei cani che abbiamo un pò tutti quando impattano forme di aggressività, perchè il timore -se incontrastato- si gonfia facilmente, finchè etichetta e condanna. Ma nel frattempo, in altro modo, io personalizzo tutto quello che posso. E devo dire che Oliver ci sta provando a uscire dal nulla in cui è cresciuto. E che io e lui ci troviamo insieme in questo momento buio.
Mentre mi morde io divento qualcosa. Devo resistere al dolore delle sue pinzate decise, facendomi forte del suo vero dolore come daltronde sta provando a fare lui.
Il dolore va usato.Così da qualche parte andremo. Si tratta per ora di non mollare.
Sono convinto che Oliver capirà che non abbandonarlo ai suoi tentativi ci porterà lontano.
Dav
Ormelle ( TV), luglio 2015

Non è un miracolo, non è generico istinto, non è – solo – una storia commovente a lieto fine. E’ il racconto delle scelte di Chicco, animale resistente.
( Fonte: www.ilgazzettino.it)
Washington, 15 luglio 2015
E’ stata breve la fuga di Macadamia, un agouti prigioniero nello zoo di Washington.
Il grosso roditore ha rosicchiato le sbarre ed è uscito dal recinto in cui si trovava recluso insieme con due scimmie Marmoset.Dopo mezz’ora è stato ricatturato e ricondotto agli arresti.
“E’ arrivato solo da qualche mese qui- dice un portavoce dello zoo-ed è in attesa di incontrare Hazelnut, la sua compagna”
Nel video, passato sui social, tutti ridacchiano.
Un altro animale che cerca la libertà è come un evento disneyano che porta pure pubblicità al carcere a cui è stato destinato.
Due anni fa era stata la volta di Rusty, un panda poi riarrestato.
(Fonte: www.wjla.com)