A Palermo e ad Agrate, nel 2014, due recluse provano a scappare da una ‘vita’ in gabbia.
Agrate
Palermo
“L’oste, nella sua bottega, ch’è di faccia al monumento di Cristo Pescatore, alleva un gufo, legato per una catenella a un’asse che sporge in alto da un muro. Il gufo ha piume nere e grigie, delicate, un elegante ciuffetto in testa, palpebre azzurre, e grandi occhi d’un color d’oro-rosso, cerchiati di nero; ha un’ala sempre sanguinante, perché lui stesso continua a straziarsela col becco. Se tendi la mano a fargli un lieve solletico sul petto, curva verso di te la testolina, con un’espressione meravigliata. Al calar della sera, incomincia a dibattersi, prova a staccarsi a volo, e ricade, ritrovandosi qualche volta starnazzante a testa in giù, appeso alla sua catenella.”
Elsa Morante, L’isola di Arturo
“La madre di Faido stava pulendo casa (…) Voltatasi, ebbe di fronte il gufo. Immobile, le larghe spalle e la grossa testa dalle pupille arancioni, la guardava, il becco dischiuso come quello di un pappagallo parlante. Avrebbe voluto telefonare al figlio o al marito, ma non ne aveva la forza. Il gufo continuava a puntarla e a volgere la testa attorno come scrutasse ogni angolo della casa (…) Emesso un soffio, e allungato il collo, il gufo volò sul tavolino, e da lì disparve dalla finestra spalancata. Lei uscì fuori. Voleva liberarsi del suo sguardo e delle sue ali: avevano riempito la cucina come di elettricità (…) Il gufo continuava a eludere la trappola (…) Non gli era poi piaciuto quanto era accaduto a sua madre (…) Traverso l’ombra che calava nella foresta, s’incamminò dove aveva piazzato la rete (…) Non credette ai suoi occhi: appesantita dalla grossa sagoma del gufo, era immobile e gonfia (…) Ma, durante il passaggio dalla rete al sacco, il gufo si districò, volando e incappando nei cespugli di erica. Faido lo inseguì, imprecando. Sennonchè, con una cabrata, il gufo gli fu addosso, oscurandogli il volto con le ali. Lui alzò le mani per afferrarlo; non ne ebbe il tempo: i rostri gli trafissero le pupille, orbandolo. Solo quando, straziato dal dolore e dallo spavento si buttò col volto a terra, e prese a urlare, invocando aiuto, il gufo lo lasciò.”
Vincenzo Pardini, Il viaggio dell’orsa