“In natura le galline hanno combriccole complicate e voci distinte. Comunicano tra loro ancor prima che l’uovo si schiuda. La gallina cinguetta e canta e i pulcini rispondono dall’interno, pigolando e barbugliando e battendo contro il guscio. Le galline adulte hanno più di trenta categorie di conversazione, tutte con il proprio intreccio di gloglottii, strilli, zirli e gorgheggi. I polli spettegolano, chiamano, giocano, flirtano, insegnano, avvertono, compiangono, combattono, lodano e promettono.
Ed è quest’ultima, la promessa, quella che interessa a noi.
In un contesto di gabbia una gallina se ne fa poco di gran parte di queste categorie di conversazione. Di conseguenza il suo vocabolario si atrofizza o non si sviluppa mai del tutto – ma resta lì, nel suo cervello (che immagazzina ed elabora le informazioni in modo diverso dal cervello umano: il cervello dell’uccello è più simile a un microchip ripiegato all’interno della corteccia, ben diverso dall’ingombrante motore a scoppio degli umani), pronto a riaffiorare nel momento del bisogno.
E fu così che, quando Bwwaauk alzò la testa per guardare le galline rimaste nella gabbia da cui era appena caduta, si sforzò di comunicare e la sua mente si accese. Si svegliò alla vita.
I ricercatori specializzati nel Gallus gallus hanno isolato un particolare ciangottio. Se agglutinato alla fine di una vocalizzazione, questo suono significa qualcosa come: «Ci siamo». Quindi è un verso con cui una madre può dire ai suoi pulcini: «Venite quassù! Pericolo ‒ ci siamo!» Se un maschio lo appiccica alla chiusa di un canto mentre si pavoneggia con una femmina, intende dire:«Passione, cibo, bambini, protezione ‒ ci siamo bellezza!» in altre parole, questo ciangottio funziona come una forma rudimentale del verbo al futuro. Quando la gallina con il cervello che si accendeva, partiva, ricominciava a funzionare, guardò le sue amiche in gabbia ( le galline stringono amicizie durature e possono riconoscere più di un centinaio di altre facce di galline anche dopo mesi di separazione, oltre ai volti umani), cercò un modo di trasmettere il pensiero complesso: Tornerò a prendervi, ve lo prometto, frase che sia in gabbia che fuori le galline hanno pochi motivi di pronunciare, visto che anche in natura amano stare vicine vicine. E le venne in mente questo particolare ciangottio.
Emise il suono del suo stesso nome ‒ Bwwaauk ‒ e il verso del:«Ci siamo!» Poi scivolò giù dal mucchio di deiezioni e si allontanò.
Lei non tornò mai, ma mandò qualcuno a prenderle. “
Deb Olin Unfert, Capannone N. 8, Edizioni Sur, 2021, pagg. 209-210.