Intervista a Paola Canonico sull’occupazione del mattatoio di Torino
A cura di Resistenza Animale
Ciao, cominciamo dall’azione in sé. È stato difficile stare lì e resistere per diverse ore? Come ti sei sentita?
Sì, i mattatoi sono ovviamente luoghi orrendi. Già solo averli concepiti è una follia. Non era la prima volta ma non è mai facile: l’odore di sangue rappreso, le gabbie contenitive, gli strumenti usati per uccidere, i pungoli elettrici. I segni delle cornate lungo il corridoio della morte, a diverse altezze, da cui potevi dedurre l’età degli animali, le strisciate lungo i muri, le mattonelle rotte a testate. I macchinari sono già orrendi, ma i segni della resistenza animale sono ancora peggiori. E quando smetti di notare queste cose perché inizia l’azione e sei incatenata ad altr* compagn*, e realizzi che tutto avviene davanti agli animali che aspettano in coda, è ancora peggio. Il dolore e la rabbia sono disarmanti, in tutte quelle ore hai molto tempo per metterti nei loro panni, immaginarti vitello, maiale, e per comprendere fino in fondo tutta l’efferatezza che si consuma i quei luoghi. La fortuna è che non sei sola, la solidarietà tra persone di differenti nazionalità che non si conoscono e non si sono mai viste è stata commovente, chi era alla sua prima azione è stat* curat*, incoraggiat*, protett+ dai colpi. E posso dirlo senza timore di essere troppo melensa, quella notte siamo stat* la migliore versione di noi stess*, eravamo uman*. E non vedo l’ora di ritrovarl*.
Il comunicato di rivendicazione dell’azione ha sottolineato alcuni punti che forse molt* non si aspettavano per un’azione che l’opinione pubblica percepisce come puramente “animalista”: una denuncia della fascistizzazione dell’Italia, una presa di distanza da chi si confronta positivamente con le istituzioni e dall’animalismo apolitico o di destra, la solidarietà con altre categorie di oppressi, persino una critica alla veganizzazione come metodo di lotta esclusivo. Che ne pensi?
Tutti i punti espressi nel comunicato sono per me, per noi, pilastri da cui non intendiamo allontanarci. Del resto prima di aderire ad un gruppo come i 269 è richiesta la piena condivisione di quel genere di pensiero. Sapevamo che un comunicato simile sarebbe stato un momento di grande rottura, volevamo che fosse uno spartiacque. E rispecchia ciò che pensiamo, non avremmo mai considerato nemmeno l’ipotesi di usare frasi edulcorate e concetti più mainstream. Volevamo che fosse un comunicato “tosto”. Pensiamo che dopo Green Hill e Farmacologia il movimento italiano abbia perso slancio, coraggio, non dico che siano stati fatti passi indietro, e non intendiamo sputare su quant* hanno speso e spendono il loro tempo dedicandosi alla lotta per i diritti animali in altre forme, semplicemente noi quelle forme non le condividiamo più. Hanno fatto parte del percorso di quasi tutt* noi, e sentiamo di voler fare altro. Soprattutto sentiamo che la visione di lotta antispecista è qualcosa di molto distante da una semplice scelta alimentare vegana. Riteniamo che una visione unicamente settaria del problema sia insoddisfacente a questo punto, che la messa in discussione debba essere totale, che i diritti degli animali debbano sedere accanto ai diritti di tutte le categorie oppresse, e lì vogliamo riportarli con fermezza. Non è una lotta di serie B, non elemosiniamo riforme e pacche sulle spalle da istituzioni che non hanno nessuna intenzione di tutelare gli oppressi, se non con ipocrite parole vuote. Non pensiamo sia possibile continuare a dire che “agli animali non interessa la politica” perché è una visione folle. Aziende come Inalca stanno comprando vasti territori nel sud del mondo, monopolizzando risorse su più livelli, causando stragi ambientali e privazione dei diritti. Pensiamo che sia tutto collegato, che derivi tutto dalla medesima malattia di cui sessismo, specismo, omofobia sono solo sintomi, cambiano le vittime, ma l’attitudine all’oppressione è la medesima. Per questo nel nostro gruppo ci sono tant* attivist* che si spendono anche in altri ambiti per questioni sociali diverse. Io personalmente mi dedico principalmente ai diritti animali, perché ritengo che sia la prima forma di oppressione a cui ci abituiamo dalla nascita, uccidere una gallina ci appare naturale fin dalla tenera età. Giustificare una uccisione è come giustificarle tutte, è la prima forma di educazione all’accettazione dell’ingiustizia che subiamo. Siamo molto dispiaciuti che la sinistra radicale e alcune ambiti del movimento anarchico siano così lontani dalla questione animale, per tutti questi motivi la deriva di destra in questi anni non è stata arginata e nemmeno contrastata. Alcuni “animalisti” hanno addirittura salutato con gioia fenomeni come il “Movimento animalista”, che almeno per incapacità manifeste si è dissolto nel nulla. Ecco, questo non intendiamo accettarlo, vogliamo dirlo forte e chiaro. Per quanto riguarda questioni più direttamente collegate alle varie forme in cui il movimento per i diritti animali si sta declinando, le posizioni welfariste le riteniamo inaccettabili. Non vogliamo telecamere nei mattatoi, non vogliamo menzogne e finte garanzie su come vengano allevati gli animali, comunque vivano, comunque siano uccisi, il mattatoio è il finale per tutti loro, dopo una miserabile vita di segregazione e sevizie. Come si fa a battersi per avere “meno sevizie”, “meno botte”, “gabbie più comode” “uccisioni davanti a telecamere”. Come si fa a festeggiare le uova che producono solo galline? La radice del problema non è il pietismo, non è la compassione, è la mancanza di giustizia. Il diritto alla vita è quello che ci interessa e per questo riportiamo il problema laddove nasce, nel mattatoio stesso. E non solo riteniamo queste premesse sbagliate, ma anche pericolose, perché offrono a chi continua a consumare carne l’illusione di non finanziare un mercato terribile, di non compiere un atto terribile. La mercificazione animale è il problema, non le modalità di questa mercificazione.
Quale pensi possa essere il futuro dell’azione diretta in Europa (il suo sviluppo, la repressione, le strategie)?
L’organizzazione 269 Libération Animale tra i suoi valori ha quello di essere transnazionale, proprio per ribadire quello che dicevo prima, l’ingiustizia che subiscono gli animali non ha confini, l’ingiustizia in generale non ne ha, basta vedere la preoccupante situazione di intolleranza dilagante attorno a noi. Non dimentichiamoci che nasce da una costola di 269Life, organizzazione nata in Israele e da cui la costola francese si è distaccata per via di forti contrasti circa la questione palestinese. La consapevolezza politica transnazionale e antifascista è l’ossatura dell’organizzazione. Quindi sicuramente come gruppo continueremo con azioni di occupazione e liberazione in Italia e fuori. Ci auguriamo nuovo slancio per il movimento antispecista, come italian* speriamo di riprendere il bandolo della matassa che è andato smarrito dopo Green Hill e Farmacologia e soprattutto ci auguriamo che le persone si ricordino che esiste la possibilità di dissentire, non da casa davanti a un monitor soltanto, ma in strada, in piazza, nei luoghi di oppressione. Ci auguriamo che la disobbedienza civile torni a contrastare ogni forma di abuso, senza paura. E per gli attivisti che si occupano di animali ci auguriamo che comprendano che i tempi sono maturi per fare una seria autocritica, per mettere da parte antropocentrismi, egocentrismi, protagonismi, che la smettano di svendere e annacquare le proprie idee, che si rendano conto che il magnum vegano è una presa per il culo, non una vittoria. Che si torni a pronunciare la parola LOTTA senza timore di sembrare fuori di testa, senza vergogna. Che si riesca un po’, tutti, ad essere la migliore versione di noi stess* insomma, o almeno provare, senza accontentarsi sempre delle briciole che fanno cadere dal tavolo per tenerci buon*, salutandole come vittorie, mentre gli animali continuano a cercare di resistere da soli, tirando testate nei corridoi della morte, contro nemici da cui non possono salvarsi. A Torino in via Treves per un giorno nessuno è stato ucciso. Continueremo a pretendere giustizia. Non a chiederla a bassa voce, a pretenderla.
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