“La Bestia è sveglia, innervosita dalla vicinanza delle scrofe in calore di cui gli giunge l’odore dall’edificio riservato al concepimento, attraverso le pareti porose. Con il grugno spinge la porta del recinto. Il chiavistello è un po’ allentato e tintinna, balla e si solleva a ogni colpo che assesta alle sbarre di metallo. Ci batte contro, si prende una sbarra sul muso, spinge la porta, la tira a sé, spinge di nuovo, e a poco a poco le viti cedono. Dopo ore di pazienti manovre la placchetta e il chiavistello cadono sul nudo calcestruzzo della corsia e la porta del box si apre lentamente davanti al verro, che balza fuori, pronto ad affrontare l’ostacolo del corpo degli uomini schierati davanti. Costeggia i recinti, annusando gli altri quattro riproduttori che si svegliano al suo passaggio e poi, da qualche parte al di là dei muri, l’odore delle scrofette nervose, delle scrofe gravide e dei suinetti. La sua massa enorme si muove in silenzio nell’oscurità.
Lo guida un altro richiamo, ancora più pressante di quello della fregola; è il tenue profumo della notte che penetra nell’edificio dagli interstizi. La Bestia percorre la corsia centrale fino alla porta. Appoggia il grugno contro lo spiraglio e, con un movimento della bocca, fa scivolare il battente sul binario. Muove qualche passo sulla vasta lastra di calcestruzzo, alza la testa e respira. La campagna è nera e tranquilla. Un brivido di eccitazione attraversa da parte a parte il corpo massiccio del verro. Rivolge per un momento lo sguardo alle porte dell’edificio dietro le quali languono le scrofe fertili che a loro volta hanno percepito la sua presenza e i feromoni del suo fiato pesante, poi La Bestia si allontana e arriva fino alla recinzione di rete metallica. Al di là si estendono le terre, lucenti e profumate, che trattengono il sentore delle erbe e dei tuberi, degli animali sconosciuti e delle piccole prede, dei cespugli umidi e di vecchi orti azzurrati dalla luna. Il verro morde, torce e strappa senza difficoltà le maglie della rete, praticando un buco nel quale infila la testa, poi si appoggia con tutto il suo peso, incurvando la recinzione e piegando a forza i pali conficcati nel calcestruzzo. L’apertura si allarga e l’animale riesce ad infilarci le zampe anteriori. L’estremità dei fili spezzati gli si conficca nella carne e lo graffia per lungo, sulla schiena e sui fianchi. Il suo grido trafigge la notte ed eccita i cani che fiutano il suo odore e abbaiano tutti insieme nel canile della fattoria. La Bestia raddoppia gli sforzi, si dibatte, stacca dai pali il pezzo di rete metallica, che vibra sbattendoci contro violentemente quando il maiale si libera. Ebbro di dolore, galoppa fino al centro di un prato incolto. Non ha mai corso. Scopre la propria massa e la forza che deve mobilitare per spostarla.Dalle ferite esce un sangue fluido e cola fra le setole. Si ferma, stordito dalla sforzo, dalla nuova libertà e dalla vibrazione della notte che sonda con gli occhi, pupille dilatate. Distingue i cupi edifici della porcilaia che fino a quel momento costituivano la frontiera del suo mondo. Percepisce, più lontano, l’ombra del corpo della fattoria, che per lui è solo un’ombra da cui scaturisce l’odore ostile degli uomini e dei cani. Non sa che al primo piano, dietro lo spessore dei muri di mattoni e di sassi e paglia, anche gli uomini dormono. Nei loro sogni si affolla la massa uniforme dei maiali”
Estratto da Regno animale di Jean-Baptiste Del Amo