Stefania nel paese delle meraviglie

Di seguito la recensione di Massimo Filippi al libro per bambin* (e non solo) di Stefania Bisacco, “Con occhi animali”. Ricordiamo che le donazioni fatte per il libro sono devolute ad Agripunk.

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Massimo Filippi

Stefania nel paese delle meraviglie

Pour dire les plus longues phrases, / Elle n’a pas besoin de mots.

(Charles Baudelaire)

  1. Se accettiamo che una fiaba debba possedere la morfologia delineata da Propp, Con occhi animali di Stefania Bisacco non è una fiaba: non c’è un equilibrio iniziale alterato da una qualche complicazione né una conclusione che ripristina, grazie alle peripezie di un eroe, l’equilibrio perduto. Non ci sono eroi in questo racconto, ma un concatenarsi di singolarità in perenne trasformazione. Eppure Con occhi animali è, malgrado tutto e in qualche modo, una fiaba se, sempre seguendo Propp, in una fiaba ciò che conta non è chi è il personaggio, ma che cosa fa il “personaggio”, non la sua natura ma la sua performatività. Qui, però, non ci sono neppure personaggi che mantengono un ruolo funzionale nel flusso della storia, ma un flusso che sviluppa “personaggi”, che appaiono e scompaiono, come bagliori, come delle lucciole. Con occhi animali, allora, è una non-fiaba.
  1. Che cosa fa “il personaggio” che attraversa questa non-fiaba? L’autrice ce lo dice subito, all’inizio del racconto, sostituendo il classico “C’era una volta…” con “…E gli animali risposero”. Derrida ha scritto: «Tutta la questione dell’animale non consisterà tanto nel sapere se l’animale parli, ma se sia possibile sapere cosa significhi rispondere e distinguere una risposta da una reazione». Questa non-fiaba non solo dà per scontato che gli animali siano in grado di rispondere, ma salta ogni preambolo, sfida ogni equilibrio e ci dice immediatamente che gli animali hanno già risposto. Gli animali e non l’animale, la moltitudine e non l’esemplare. Ecco, quindi, un’altra differenza dalle fiabe classiche: gli animali non servono per parlare d’altro – delle qualità positive o negative degli umani –, ma appunto rispondono. Non sono controfigure, ma protagonisti. Escono dall’osceno per occupare la scena.

  1. Che cosa hanno risposto gli animali? E, soprattutto, come hanno risposto? Questo è quanto le pagine che seguono ci raccontano in una sorta di testimonianza di ciò che dovrebbe essere già evidente ad occhi animali, ma che le lenti dell’ideologia specista e dei dispositivi di smembramento dei corpi offuscano fino a farlo scomparire nell’invisibilità più cupa. Gli animali, con le loro lingue, rispondono che desiderano e che, in quanto ecceità desideranti, sono in perenne moto, in continua trasformazione, presi in un instancabile divenire che fa esodo dalle barriere di specie.
  1. Pertanto la trama di questa non-fiaba non può che essere la perdita della morfologia a favore della metamorfosi. In ampie tavole di grande potenza visiva nella loro semplicità, un gabbiano diventa un pesce e poi una cornacchia, una lumaca, un topo, una biscia, un gatto. Anche le parole che accompagnano i disegni non sono vere parole; piuttosto lunghe frasi che ribadiscono una linea che corre oltre i confini per abbatterli, perché ciò che conta non è l’inizio o la fine (il capo o la coda), ma ciò che sta nel mezzo (il corpo). Queste frasi, direbbe Deleuze, sono blocchi di divenire, linee di fuga che fanno delirare le tassonomie: un ritornello che, pagina dopo pagina, buca la violenza della regola.
  1. Nel famoso racconto di Lewis Carroll, Alice si lamenta del fatto che i gatti hanno una pessima abitudine: qualunque domanda si ponga loro rispondono sempre con le fusa: non seguono una regola ed è impossibile capire se stiano dicendo “sì” o “no”. Anche la gatta che fa capolino tra fili d’erba sulla copertina di Con occhi animali e che ricompare alla fine fa le fusa e afferma: «Nessun animale vuol essere prigioniero». Dice al contempo un “sì” (alla libertà) e un “no” (alle gabbie): abbandonata la presunzione dell’animale parlante, le fusa rispondono.
  1. Se il “sì” è il ritornello che percorre la meraviglia del mondo che si apre di fronte ad occhi finalmente animali, il “no” si materializza nella risposta decisa a ciò che infrange tale meraviglia: una rete piena di pesci agonizzanti, la tristezza inconsolabile di un vitello in una gabbia di contenzione, l’autismo immedicabile di un elefante ridicolizzato in un circo. E chi dice “no”, chi ci consente di vedere l’orrore – gli aiutanti di questa non-fiaba – sono animali generalmente ritenuti insignificanti se non addirittura schifosi: un pesce, un topo e, soprattutto, una biscia – un serpente, l’animale per eccellenza della muta, l’animale che, ancora una volta, ma questa volta in tutt’altro senso, con felice sensualità, fa cadere l’Uomo. Scrivevano Deleuze e Guattari: «Si pensa e si scrive per gli stessi animali. Si diventa animali perché anche l’animale diventi altro da sé. L’agonia di un topo o l’esecuzione di un vitello restano presenti nel pensiero, non per pietà, ma come zona di scambio tra l’uomo e l’animale, in cui qualcosa dell’uno passa nell’altro». Quale migliore commento al libro che stiamo commentando? (Tra parentesi: i riferimenti a Deleuze non sono “forzati” dal momento che il suo pensiero è già stato trasformato in disegni per bambin* nel libro di Duhême intitolato L’uccello filosofico. Con occhi animali potrebbe essere considerato la prosecuzione de L’uccello filosofico con altri non umani…).
  1. A prima vista, gli umani paiono assenti da questa non-fiaba. A uno sguardo più attento però ci sono sia direttamente (i/le bambin* che assistono allo spettacolo circense) sia indirettamente (i manufatti della violenza istituzionalizzata – reti da pesca, sbarre di gabbie, tendoni da circo – e il muretto su cui siedono i gatti – o le gatte? – dell’ultima tavola). Ma, soprattutto, c’è l’autrice; infatti, il ritornello che accompagna il primo disegno inizia così: «Stanotte ho fatto un sogno strano» e poi via con le metamorfosi. Se il sogno è il luogo del possibile e della perdita dell’identità – una zona di scambio –, è proprio qui che la metamorfosi raggiunge, per noi, il suo grado più intenso: un umano, a differenza degli altri, è entrato in un blocco di divenire con l’animale, è in fuga, è evaso dal continente dell’Uomo. Scriveva Cioran: «Coloro che sanno cosa significa essere uomo cercano di diventare tutto tranne che questo. Se fosse possibile, mi trasformerei ogni giorno in una forma diversa di vita animale e vegetale». Ancora una volta un “sì” e un “no”: contro la tristezza del possibile reso impossibile, la gioia dell’impossibile che diviene possibile.
  1. Non a caso, allora, una gatta, «una piccole tigre bambina», compare ripetutamente nella non-fiaba. Il suo vello è a strisce come quello del gatto del Cheshire di Alice nel Paese delle meraviglie. E come questo svanisce, anche la tigre bambina sarà destinata a svanire dalle nostre menti «molto lentamente, cominciando dalla punta della coda per finire con il sorriso» che rimarrà lì «dopo che il resto [sarà] svanito». Ecco cos’è la possibilità dell’impossibile: l’impersonale joie de vivre – assenza di equilibrio e perdita dell’individualità – che si oppone risolutamente alla miseria della depersonalizzazione delle enclosure. Di qualunque recinto. Di tutte le gabbie, materiali o simboliche che siano.
  1. Nel suo ultimo saggio, L’immanenza: una vita…, Deleuze scrive: «Una vita è l’immanenza dell’immanenza, l’immanenza assoluta: è completa potenza, è completa beatitudine». E aggiunge: «I neonati si somigliano tutti e non possiedono individualità; ma hanno singolarità, un sorriso, un gesto, una smorfia, eventi che non sono caratteri soggettivi. I neonati sono attraversati da una vita immanente che è pura potenza, e anche beatitudine attraverso le sofferenze e le debolezze». Sarebbe facile dire che Con occhi animali è una non-fiaba per bambin* che può essere letta anche da adulti. Forse, però, questa è una non fiaba per neonat*.
  1. E se i neonati rispondessero? E se reagissero?

 

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