Yellowstone, maggio 2015
Questa è la storia di un bisonte confinato nella riserva di Yellowstone che, esasperato dai turisti che lo importunano, umiliandolo, si rivolta in un moto di rabbia.
In questa rabbia, come nell’ umiliazione e nella sua solitudine, è iscritta tutta la storia del suo popolo, dei suoi antenati che furono massacrati in massa. In pochi anni ne vennero uccisi quattro milioni.
I bianchi avevano sterminato i bisonti, per le pellicce o per il semplice gusto di farlo, in un’insensata carneficina “sportiva”. Le carcasse erano lasciate a decomporsi nella prateria.
I bianchi avevano anche sterminato gli indiani. Solo in un giorno, nel dicembre del 1890, in una piana coperta di neve vicino al fiume chiamato dagli indiani Chankpe Opi (“Wounded Knee” nella lingua degli invasori) l’esercito degli Stati Uniti uccise a cannonate centocinquanta Sioux, quasi tutti disarmati, in gran parte donne e bambini. I feriti che riuscirono ad allontanarsi morirono assiderati.
I soldati se ne andarono lasciando i cadaveri a cielo aperto.
Gli ufficiali responsabili della strage furono ricompensati con venti medaglie al valore militare.
Lo scrittore L. Frank Baum, autore de Il Mago di Oz, applaudì al massacro e scrisse: “La nostra sicurezza dipende dallo sterminio totale degli indiani. Dobbiamo cancellare dalla faccia della terra queste creature non addomesticate né addomesticabili”.
E fu così, per bisonti e indiani.
da Seppellite il mio cuore a Wounded Knee di Dee Brown
(cit. Gost Dance di Wu Ming 1)
(Fonte www.rsi.ch)