La moderna tratta degli schiavi sul mare e la loro lotta per la libertà

dai DIARI DI BORDO DI LYNN SIMPSON

Lynn Simpson è una veterinaria australiana che viaggia su navi da trasporto occupandosi del “benessere” degli animali imbarcati: bovini e ovini destinati al macello. Sulla rivista di nautica Splash tiene una rubrica intitolata “Esportazione di animali vivi”, di cui vi riportiamo in traduzione alcuni articoli. Questo è intitolato significativamente: “La moderna tratta degli schiavi sul mare” (http://splash247.com/live-animal-export-shippings-modern-slave-trade/).

27 giugno 2016

Solo un vero marinaio può comprendere quanta dipendenza diano le spedizioni per mare. Solo pochi di noi sono in grado di farlo capire ai profani. E’ spesso un’esperienza avventurosa, che presenta le sue sfide. Queste non dovrebbero essere tanto gravi e facilmente prevedibili come gettare animali morti “oltre il parapetto” su basi regolari e avere navi attrezzate apposta con macchinari che macinano cadaveri.

Cattivo tempo, guasti meccanici, incendi e pirati dovrebbero bastare a saziare chiunque abbia fame di avventura.

Ho lavorato come stivatrice a Fremantle durante gli ultimi tre anni di università per mantenermi alla scuola di veterinaria. Questa è stata la mia iniziazione al mondo della navigazione. Rimasi subito ‘catturata’. Non mi sarei mai aspettata che la mia laurea in veterinaria e il mio amore per il bestiame mi avrebbero portato a viaggiare su navi mercantili per undici anni.

Dopo la laurea mi sono ritrovata con le valigie a camminare sulla passerella che porta a bordo della nave, per il primo dei miei cinquantasette viaggi di esportazione dall’Australia all’emisfero nord in qualità di veterinaria di bordo.

Ho amato lavorare sul mare per la pura grandiosità e il senso di avventura che mi dava. Tragicamente mi sono resa conto molto presto delle affinità tra la tratta degli animali esportati vivi e quella che una volta era la tratta degli schiavi. Nell’Ottocento si costruirono imperi sulle spalle degli schiavi, rapiti e venduti dalle loro terre d’origine, con un alto tasso di mortalità durante i viaggi e un misero trattamento nelle terre a cui erano destinati dopo la vendita.  

Se si immagina di sostituire gli schiavi umani con gli animali vivi, ebbene sì, lo scenario è lo stesso. 

Si credeva che l’economia sarebbe collassata se la schiavitù fosse stata abolita, ma gente coraggiosa come William Wilberforce fece sì che la pressione sociale arrivasse al punto di mettere fine alla tratta – e l’economia continuò a prosperare. Mentre aiutavo animali feriti e malati a bordo delle navi, mi tornava sempre alla mente la tratta degli schiavi e la canzone Amazing Grace, scritta da un vecchio capitano che trasportava schiavi a mo’ di pentimento.  

Mi ritrovo a fare un’operazione chirurgica ad un toro, come la rimozione di un occhio, o ad essere inginocchiata sprofondando per spanne nella merda e nel piscio, con la nave che rolla, e nel frattempo mi chiedo se questa tratta in futuro sarà abolita come è successo con la schiavitù, se il mondo guarderà al passato domandandosi con incredulità e vergogna come poté essere considerata accettabile. Ho passato ore in mare a discutere di come fosse sbagliato quello che stavamo facendo. Poi tornavo sul ponte a vedere quanti animali dovevano essere uccisi e buttati giù dal parapetto.

Credo che col tempo la società collettivamente vedrà il trasporto via mare di animali vivi come una pratica orrendamente immorale, proprio come ora pensiamo che fosse la tratta degli schiavi

Perché non mi sono ancora dissociata dal 1999? Ebbene, il mio pensiero oggi è simile a quello dei medici nei centri di detenzione offshore. Avevo le capacità, la possibilità e il pragmatismo di fornire cure, aiuto e in molti casi l’eutanasia necessari a ridurre la sofferenza degli animali in questo ambiente difficile. Non potevo voltare le spalle a quegli animali intrappolati in questo sistema draconiano che chiamiamo esportazione di animali vivi. Volevo avere un’influenza positiva nel diminuire il dolore innecessario e la sofferenza che questa tratta produce.

Ho viaggiato con animali attraverso zone di guerra, cicloni, ondate di calore e acque infestate dai pirati. Ho visto barche rovesciate con corpi umani che ondeggiavano sballottati contro il nostro scafo.

Sono stata anche in alcuni posti notevoli ed esaltanti, ho lavorato con equipaggi straordinari, gente da tutto il mondo e personaggi meravigliosi! Dieci anni fa ho portato in Libia delle catene che anticamente erano state messe agli schiavi. Un forte monito che mi ricordasse della mia complicità, oltre che un ottimo spunto per cominciare una conversazione con gli sconosciuti che non sono del mestiere.

Durante le fasi di scarico nei porti stranieri eravamo solitamente isolati come dei lebbrosi. Ripartendo dopo ogni attracco mi meravigliavo sempre di come la mia casa galleggiante puzzasse di carogna (lett. like I was returning to live in road kill: come se tornassi a vivere dentro la carogna di un animale investito sulla strada, ndt). Non c’era da stupirsi se gli altri naviganti fossero soliti chiedermi come facevo a resistere all’odore, dopo che mi avevano detto che riuscivano a fiutarci da miglia di distanza!

La gente che lavora su queste imbarcazioni ha il mio totale rispetto. E’ molti difficile fare bene questo lavoro. Ho avuto la fortuna di lavorare insieme a marinai eccezionalmente professionali che lavoravano instancabili per riparare ad una legislazione sul benessere animale insufficiente da parte del ministero dell’agricoltura del governo australiano. Ho visto queste mancanze provocare un grave imbarazzo sia ai proprietari delle navi che agli equipaggi, me inclusa. 

L’AMSA (l’Autorità Marittima per la Sicurezza Australiana) ha riconosciuto questo deficit e di conseguenza ha fatto uno sforzo importante per rendere gli standard a bordo il più “animal friendly” possibile. Li applaudo per i risultati che hanno ottenuto, ma indipendentemente da questo gli animali non sono fatti per stare bene in un simile ambiente. Questi standard dell’AMSA dovrebbero essere obbligatori in tutto il mondo come un livello minimo in assoluto.

Ad ogni modo secondo il mio parere di veterinaria l’opzione più umana nei confronti degli animali traghettati sarebbe naturalmente di non caricarli a bordo da vivi, ma come carne refrigerata o congelata.

Continuiamo con un articolo dedicato ai casi in cui gli animali fanno resistenza al dominio dei loro padroni: “Fughe. Parte I” (http://splash247.com/live-animal-export-escapees-part-1/). Di fronte alla costrizione del viaggio, agli orrori indicibili che questo comporta e al destino di morte verso il quale sono traghettati, i bovini cercano la fuga. L’occhiello recita: “La dottoressa Lynn Simpson su cosa succede quando un animale corre per la libertà”.

22 novembre 2016

I fuggitivi nel settore dei trasporti marittimi non sono infrequenti. Come biasimarli? Io stessa ero piuttosto desiderosa, di solito, di passare del tempo lontano dalla nave alla fine del viaggio. E la mia sistemazione era decisamente migliore della loro.

Mentre li caricavamo in Australia c’erano spesso degli evasi sul pontile, ma essendo i porti ben recintati e capendo tutti la stessa lingua generalmente erano catturati senza troppi problemi e riportati sulla rampa di carico. In Australia sapevamo come dare all’animale o agli animali il tempo di calmarsi e di solito la cattura era relativamente semplice. Le difficoltà sorgevano mentre l’animale o gli animali, bovini in particolare, trovavano una via di fuga in una zona del porto piena di macchine nuove di zecca, parcheggiate vicine, appena consegnate da un trasportatore di automobili. Uno dei commenti più divertenti che mi sono portata via da quando facevo la stivatrice è: “Gli piacciono le Hyundai” . Provare gentilmente a fare uscire un toro Brahman in mezzo a centinaia di macchine arrecando il minimo danno possibile ad entrambi si rivelò una danza raffinata. Non sempre ben riuscita, visto il finestrino laterale di una macchina lasciato a penzolare.

La maggior parte delle fughe con cui ho avuto a che fare erano durante le fasi di scarico. Di solito erano dovute alla cattiva qualità o gestione dei camion. Meno stanchezza e una migliore organizzazione quando si caricavano i camion avrebbe potuto risparmiare molte di quelle situazioni. Gli animali arrivavano alla fine della rampa della nave e qualche cretino dimenticava di chiudere il cancello o lasciava che un camion partisse senza chiudere la portiera o tentava di mettere troppo bestiame su ciascun camion. Gli animali vedevano un varco e ci si buttavano. Balzavano giù dal camion o dalla piattaforma, generalmente si fermavano scioccati di fronte al luogo in cui si trovavano e poi partivano di corsa.

Ho assistito ad una eccezione. Stavo lavorando sul pontile e ho sentito un forte grido venire dalla nave. Ho alzato lo sguardo e ho visto due membri dell’equipaggio mettersi in salvo lungo un passaggio esterno della nostra barca, che ha un recinto chiuso all’interno, mentre il toro che li seguiva stava proprio alle loro calcagna. Arrivarono alla sala macchine e si scansarono. Il toro non fece in tempo a fermarsi e gli uomini sbarrarono la porta dietro di lui. Sarebbe potuta finire molto male. Era come guardare una versione più in piccolo della “corsa dei tori” a Pamplona, un’attrazione turistica per idioti che non capirò mai.

Ci vuole raffinatezza per ricatturare un bovino o un ovino fuggitivi senza correre rischi. Di solito la squadra a terra non possiede questa dote. Gli addetti allo stoccaggio e io normalmente siamo chiamati sul pontile per farlo. Quando tutto va bene, ci avviciniamo di soppiatto all’animale e lo sediamo se è un toro, lo catturiamo se è una pecora.

Sedavamo i bovini con un Westergun, essenzialmente una siringa azionata a molla e posta alla sommità di un lungo bastone. L’animale scappava e se lo si lasciava solo affinché si calmasse, cadeva addormentato entro mezzora, oppure se la prendeva a male e cercava di attaccare.

Una volta addormentato di solito si poteva saltare furtivamente su di lui e immobilizzarlo ulteriormente tenendogli giù la testa, mentre un collega gli legava rapidamente le gambe. Il sedativo immobilizza completamente un animale solo di rado. L’animale nella immagine qui sotto creò una situazione non da poco. Fummo costretti a riportarlo sul camion per curarlo e a trasportalo alla mangiatoia. Era vivo e semicosciente, ma fu sollevato per un breve tempo da un muletto. Non convenzionale, non bello da farsi, non menzionato dai manuali di veterinaria, ma comunque funzionale.

Se il tentativo di sedarlo non andava a buon fine allora cominciava un inseguimento. Questo era molto brutto, dal momento che di solito dovevamo salire sul retro di un camioncino con qualche sconosciuto ipereccitato che non parlava inglese e che guidava a tutta velocità per riprendere l’animale. Nel frattempo noi cercavamo contemporaneamente di restare in vita e di fare un’iniezione ad un bersaglio in movimento.

Pericoloso per tutte le parti coinvolte.

Se l’animale veniva inseguito troppo accanitamente talvolta saltava giù dal pontile dentro al porto o dentro al mare. Allora sì che la situazione diventava davvero interessante e il più delle volte si ottenevano risultati scadenti.

Il toro nella foto di sotto era caduto da un camion, la squadra di terra lo inseguiva e lui era finito nell’acqua. Fui chiamata giù dalla nave per “risolvere il problema”. Quando arrivai lì la sua testa era incastrata tra lo scafo della nave e il pontile. Se avessi avuto una macchina a raggi X non avrei avuto dubbi sul fatto che il suo cranio aveva subito delle fratture. Mentre la nave si avvicinava e si allontanava leggermente dal pontile usai un lungo pezzo di legno per spingere la sua testa sottacqua. Ogni volta riemergeva qualche metro più avanti. Fu sufficiente sfruttare il restringersi dello scafo nella sua parte bassa per liberare il toro. Passammo delle corde attorno a lui e usammo un muletto per tirarlo fuori dall’acqua e infilarlo sul camion.

Morì prima che potessi sparargli.

Il toro in questa immagine era uno dei due fuggiti da un camion in Israele. Saltò nell’acqua, ma presto ritornò al porto e fu legato sugli scogli attorno al pontile, sollevato con un muletto e riportato sul camion. Quello sfacciato del suo amico non sarebbe mai tornato indietro. Cominciò a nuotare direttamente attraverso il golfo verso la Giordania. Allora saltai nell’acqua e cominciai a nuotare dietro di lui. Riuscii a farlo girare su se stesso e a riportarlo in Israele dopo un gioco di “spruzzi” non tanto divertente e dopo essere stata coperta di moccio da un toro scontroso in mezzo al mare. I due addetti allo stoccaggio con cui mi viaggiavo presto si unirono a me. Lavorammo come tre cani pastore di mare. Il toro nuotò attraverso una rete a prova di squalo. Il mio primo segnale importante che ricevetti a suggerirmi che ci trovavamo nel posto sbagliato. Corse veloce sulla spiaggia, mentre quelli che prendevano il sole lo guardavano scioccati.

Per fortuna approdò in un punto lungo la costa all’interno dei terreni recintati dell’Eilat Dive Club. Facemmo evacuare il posto e finimmo per sedare il toro nel ristorante del club. Bizzarro, ma per fortuna gli israeliani non la presero male. Una volta sedato e legato fu portato su un rimorchio fino alla mangiatoia perché si riprendesse.

Certamente finì sui notiziari israeliani di quella settimana.

Attraverso il Golfo durante un altro viaggio stavamo scaricando pecore in Giordania. Uno dell’equipaggio a cui avevo dato lezioni di inglese venne da me dicendo: “Un grosso pesce, Dottore, un grosso pesce, venga a vedere!”. Non ero così esaltata all’idea di vedere un grosso pesce, ma aveva parlato così bene che non volevo deluderlo. Finii quello che stavo facendo e camminai fino al lato della nave opposto a quello dove stavamo scaricando. Guardai giù e… Che cazzo?! “Quello non è un grosso pesce,” dissi “è uno squalo balena!”. Uno spettacolo magnifico. Con la testa larga circa un metro e mezzo era semplicemente bellissimo. Nuotava armonicamente avanti e indietro lungo il nostro scafo. Sospetto che sentisse il nostro odore, per Dio; gli abitanti del Paese dopo probabilmente potevano sentirlo.

Più tardi quella notte una pecora  finì nell’acqua e io mi tuffai per riportarla indietro, ma nuotò attorno alla poppa della nostra nave nell’oscurità. Datemi pure della fifona, ma non la seguii. Non ero spaventata all’idea di imbattermi nello squalo balena, ma di certo non ero desiderosa di incontrare nel buio uno dei suoi amici carnivori. La pecora non fu avvistata mai più.

(trad. di Giorgio Losi)

Questa voce è stata pubblicata in 1 - storie di rivolta, 2 - allevamenti e macelli, 7 - evasioni, approfondimenti e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.