Quando un animale decide di smettere di vivere

Leonia, un cane moralmente distrutto a cui è stato permesso di morire durante il processo di riabilitazione

Leonia, con un passato terribile alle spalle, aveva deciso di non vivere più.    

Molti animali possono sviluppare comportamenti equiparabili ad un suicidio attivo: persino gli scienziati non possono negarlo sebbene in molti casi si pretenda di accertare e misurare scientificamente la capacità degli animali di sviluppare una azione consapevole (sic).

Numerosi sono i casi in cui balene, delfini ed elefanti si lasciano morire.

Prigionia, addestramento coatto, separazione dal gruppo, sottrazione dei cuccioli dopo il parto sono solo alcune tra le esperienze traumatiche che possono condurre ad uno stato di impotenza e al desiderio di porre fine alla propria sofferenza.

Attimi intimi e irrimediabili che ci si ostina a negare relegando queste esperienze nel calderone delle casualità e delle singolarità, in una specie di sfera del fantastico che celebra la ricerca forzata di forme di devianza.

Spesso neppure di fronte all’evidenza si ha la decenza perlomeno di nutrire dubbi riguardo ad uno scetticismo nei confronti dei sentimenti degli altri animali e si ricorre ad una valutazione che contiene in sé una svalutazione e non si esce dal confronto con l’umano e dai manuali del DSM ( Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders).

Nel nome della ricerca scientifica si compiono torture nei laboratori, come ad es. quella di infliggere scosse elettriche ai cani per testare le forme di difesa e fuga dallo stress ricevuto o quelle sulla deprivazione parentale nelle scimmie marmoset, o ancora le “prove” sui ratti o nelle grandi scimmie che ne attestino la capacità di essere generosi e di anteporre la salvezza del compagno alla soddisfazione del proprio piacere. E’ lunga la storia delle nefandezze ai danni degli animali.

Ma i delfini nei parchi acquatici smettono di respirare, i condor possono arrivare a lanciarsi contro le rocce, cani abusati trovano diverse forme per farla finita o comunque per evitare di riaffrontare una esperienza dolorosa, e molti sono i casi di automutilazione o morte per rifiuto del cibo, numerose le forme depressive tra gli animali negli allevamenti e tanti “autoabbandoni” anche tra i selvatici.

In un tipo di società che non considera in alcun modo gli animali se non come merce da sfruttare, anche affettivamente, non stupisce che si voglia in ogni modo negare l’evidenza di come gli animali si adoperino per resistere, inclusa la scelta di lasciarsi morire.

 

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(Fonte: www.eldiario.es)

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