Arte e resistenza animale: scene da un mondo senza sfruttamento- intervista a Hartmut Kiewert

Arte e resistenza animale: scene da un mondo senza sfruttamento- intervista a Hartmut Kiewert

di: resistenzanimale.noblogs.org

traduzione dall’inglese: Julie McHenry

revisione: Arianna Ferrari

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[ VERSIONE TURCA ]

nest

Nest – H. Kiewert

Hartmut Kiewert (http://hartmutkiewert.de) è un artista antispecista tedesco. Nei suoi dipinti ha rappresentato lo sfruttamento animale e il desiderio di un mondo in cui tale sfruttamento sia soltanto un ricordo. Ha partecipato, con le sue opere, a diverse iniziative per la liberazione animale, fra cui la 3rd European Conference for Critical Animal Studies (Karlsruhe, 2013), l’International Animal Rights Conference, (Lussemburgo, 2013) e la Conference for Critical Animal Studies (Praga, 2011).

Gli abbiamo rivolto alcune domande sul significato politico dei suoi quadri e sul tema della resistenza animale.

Le tue opere rivelano un interesse che ci sembra non solo di tipo artistico, ma anche “politico”. Presenti la violenza sugli animali e la loro schiavitù, e sembri mostrare la capacità degli animali di agire autonomamente, per se stessi. Evadono, si ribellano, guidano (simbolicamente?) il popolo verso la rivoluzione, come hai mostrato nella tua versione del quadro di Delacroix “La libertà che guida il popolo”. Sembra che questa idea di resistenza animale ti sia familiare… In che modo è presente nella tua opera?

Nella mia opera mi riferisco esplicitamente ai contesti politici ed ai contesti dei movimenti sociali, in particolar modo al movimento di liberazione animale, ovviamente.  E’ mia intenzione offrire spunti di riflessione sul contradittorio e violento rapporto umano-animale con il mezzo dell’arte e creare nuovi punti d’accesso sul tema.  I discorsi non prendono solo la forma di testo o di linguaggio, ma anche la forma delle immagini.  La pittura ha una lunga storia di riflessione sui rapporti umano-animale che risalgono alle prime raffigurazioni nelle caverne.  Credo si tratti di un adeguato terreno per rinegoziare queste relazioni.  Nelle mie opere più recenti, provo a mostrare prospettive utopistiche su questi rapporti.  Utopie di un mondo post-sfruttamento animale.  Mi sforzo di evitare l’antropomorfismo, che è invece consueto nella maggior parte dell’arte. Di solito l’arte ha riprodotto il rapporto di dominio verso gli altri animali usandoli come aree di proiezione o come mere metafore. Quindi sì, vorrei rappresentare gli animali non-umani come attori, che modellano il loro ambiente secondo i loro stessi termini e che vivono e creano le proprie vite, proprio come gli esseri umani.  Nonostante questo, rimango anche sorpreso dalle istanze reali di resistenza non-umana che illustrano proprio questo aspetto: che sono dei soggetti e non dei prodotti o delle proprietà.

La vostra lettura della mia reinterpretazione di “La libertà che guida il popolo” di Delacroix è interessante.  Non avevo pensato ad animali che incitano la gente alla rivolta – un pensiero stupendo!  Dipingendolo, avevo in mente un’idea più ordinaria di esseri umani che liberano gli animali.  Ma questa è la potente caratteristica delle immagini: hanno la capacità di produrre nuovi modi di vedere le cose, che in certi casi erano sconosciuti all’autore.

Un altro dipinto che ci è sembrato molto interessante è “Nest” (l’edificio in rovina sullo sfondo è una nota azienda di produzione carni tedesca). Sembra quasi riferirsi alla resistenza umana, quella che chiamiamo “Resistenza”, per esempio la lotta di liberazione dal nazi-fascismo (richiama le scene di antifascisti che prendono fiato durante le loro azioni). Da dove proviene l’idea di quest’opera?

L’idea di questo dipinto era di trasferire i cosiddetti “animali da reddito” – in questo caso maiali – dal loro ambiente assegnatogli e creato dagli esseri umani per lo scopo di sfruttarli ad un ambiente completamente diverso.  Uso frequentemente questa idea nella mia arte.  Li trasferisco nelle case borghesi o, come in “Nest”, nella libertà davanti alle rovine dell’industria dello sfruttamento animale. Attraverso questo trasferimento vorrei suggerire altri punti di vista sui cosiddetti “animali da reddito” e diffondere l’idea della liberazione animale.

Nei tuoi quadri ci sono molti “paesaggi” abbandonati dallo sfruttamento umano. Sono disabitati, riappropriati dagli animali liberi. Immagini che visioni del genere possano essere realtà? Come potrebbe essere possibile tale cambiamento, la transizione dall’allevamento intensivo ad un mondo in cui gli animali possano autodeterminare la propria vita?

Beh, per prima cosa: sì, credo che sia possibile – e certamente auspicabile – abolire lo sfruttamento animale, come è anche auspicabile abolire ogni altra forma di sfruttamento e dominio.  Di certo non so come sarebbe esattamente un mondo senza la dominazione e nemmeno quale sarebbe la giusta via per arrivarci.  Ma sono piuttosto certo che la reale liberazione non possa essere raggiunta attraverso strutture gerarchiche, bensì solo attraverso contro-strutture opposte al male esistente.  Attraverso movimenti di base che incorporino le visioni utopistiche nelle proprie lotte e che riflettano costantemente sulla possibilità per loro stessi di cadere nelle strutture di dominio.  Certamente non è un percorso facile, ma millenni di ideologie e di istituzioni sociali basate sul dominio e sulla violenza non sono cose che si possono riporre come un panno vecchio e scomodo.

Poiché i meccanismi ideologici che legittimano lo sfruttamento animale sono intimamente legati ai meccanismi che legittimano lo sfruttamento e la discriminazione fra gli esseri umani, la liberazione animale e la liberazione umana sono due facce della stessa medaglia.  Quindi anche se in alcuni dei miei dipinti non ci sono esseri umani ma solo animali, non sostengo per niente l’opinione secondo cui tutto si “sistema” eliminando gli esseri umani. Gli animali umani non sono né buoni né cattivi di per sé, ma i modi in cui strutturano le loro società possono essere buoni o cattivi. L’unico scopo del capitalismo è di massimizzare il profitto. Soddisfare i bisogni degli esseri umani costituisce per il capitalismo solo un sottoprodotto o uno scarto, mai il fine della sua produzione. Questa è la ragione per cui migliaia di persone ancora stanno morendo di fame, anche se ci sono più che sufficienti risorse produttive e cibo. Ma a causa di strutture private tante persone non possono neanche avere accesso ai beni fondamentali per la loro vita. Quindi, senza dubbio, il capitalismo è una forma cattivissima e folle per organizzare la riproduzione economica umana. Dobbiamo perciò tentare di trovare altri modi per organizzare le nostre società, che superino non solo lo sfruttamento animale, ma anche il capitalismo, il razzismo, il nazionalismo, e così via.  Poiché tutte le forme diverse di dominazione e oppressione si sostengono a vicenda, tutti i diversi movimenti sociali dovrebbero trovare modi per rapportarsi e sostenersi l’un l’altro e provare ad imparare uno dall’altro, per prendere il potere al fine di apportare cambiamenti reali, per eliminare tutte queste strutture violente.

Tu hai dipinto molte scene con umani e non umani: si tratta di scene piene di angoscia. Ma in altre, umani e non umani coesistono: sono scene rassicuranti, piacevoli, pacifiche. Credi sia un cambiamento possibile? Quanto può durare questa transizione dallo sfruttamento alla coabitazione?

Bella domanda.  Come ho detto, penso che un altro rapporto fra gli esseri umani e non-umani sia possibile.  Se gli esseri umani vogliono avere la possibilità di raggiungere una qualità di vita decente per loro stessi senza ridurre il pianeta ad un mucchio di rifiuti che non può sostenerli, non possono ottenerlo isolandosi dal loro ambiente e dagli animali che condividono questo pianeta.  Dobbiamo tentare di distanziarci da quella forma reificante di socializzazione che il capitalismo porta a perseguire.  All’interno di questo processo dovremmo, di conseguenza, riconoscere che gli animali non sono dei prodotti e che, come noi, desiderano una buona vita.  Nessuno è libero finché tutti non sono liberi.

Con il processo di trasformazione delle società in società libere dal dominio, in cui gli esseri umani non mantenessero più la separazione ideologica fra esseri umani vs. animali e fra cultura vs. natura, anche le infrastrutture si trasformerebbero in modo da rispettare gli animali non umani come soggetti delle loro proprie vite.  Per esempio, si potrebbero piantumare i tetti che così servirebbero come nuovi spazi abitativi per altri animali. Oppure, se immagino un mondo decentralizzato, auto-organizzato, molto traffico sarebbe eliminato, per via dell’aumento di strutture di riproduzione economica localizzate. Questo significherebbe anche che tutti gli esseri potrebbero muoversi più liberalmente per via della riduzione del pericolo causato dal traffico.

In tale ambiente i pets e anche gli ex-“animali da reddito”, che forse potrebbero ancora esistere, potrebbero emanciparsi dagli esseri umani passo per passo. Ma credo che, a causa della diminuzione del consumo di prodotti derivati dallo sfruttamento degli animali che dovrebbe accompagnarsi ad una successiva transizione ad un mondo libero della dominazione, non ci sarebbero così tanti “animali da reddito” come ne abbiamo oggi. Con questo processo la separazione fra cultura e natura svanirebbe così come la separazione fra animali “domestici” e “selvatici”.

Spesso “scegli” i maiali come soggetti. Perchè? Sono i migliori simboli dello sfruttamento animale?

Da un lato i maiali sono molto spesso usati come una metafora specista – almeno nella lingua tedesca (NdT: anche in italiano!).  La metafora del maiale è spesso usata per denigrare delle persone o per descrivere cose negative.  Quindi l’immagine di un maiale fa scattare tante connotazioni – il che è sempre un buon modo per raggiungere la gente.  Dall’altro lato i maiali sono molto simili agli umani – il 98% del loro DNA è identico al nostro. Per di più sono animali molto intelligenti, sociali, e curiosi proprio come gli essere umani.  Per questo ho pensato che le persone possono identificarsi con i maiali nei miei quadri e iniziare a riflettere sul loro rapporto con loro – che è solitamente e sfortunatamente un rapporto mediato soprattutto dalla loro dieta.

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